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Teheran -E' stato accusato di aver fomentato le proteste contro l'elezione di Ahmadinejad con una "lotta armata contro Dio"

Dissidente iraniano alla forca

 

<p>Mahmoud Ahmadinejad</p>

Mahmoud Ahmadinejad

Ali-Zamani è stato condannato a morte per aver tentato di rovesciare la Repubblica Islamica.

“Sono cresciuto in una famiglia religiosa” racconta. Con la barba in colta e la divisa da carcerato, il 37enne Muham­mad-Reza Ali-Zamani l’ha confessato l’8 agosto, in tribunale a Teheran. Era uno dei 100 imputati, tra cui noti politici riformisti e la studentessa francese Clotilde Reiss, accusati di aver fomentato le proteste contro la vittoria di Ahmadinejad nelle elezioni del 12 giugno.

Ali-Zamani aveva raccontato che, guardando una tv satellitare filo-monarchica, era stato attratto dalle promesse di una nuova società e convinto a distribuire a Teheran copie dei Versetti satanici di Salman Rushdie; poi a recarsi in Iraq, dove sarebbe diventato un agente Cia, e a tornare in Iran per progettare attacchi terroristici.

Ali-Zamani è stato condannato a morte, giudicato colpevole di “lotta armata contro Dio” per aver tentato di rovesciare la Repubblica Islamica.

L’annuncio è arrivato dai siti dell’opposizione riformista. Sarebbe la prima esecuzione legata alle proteste dell’estate. Un verdetto giunto alla vigilia della giornata mondiale contro la pena capitale indetta per oggi. Una sentenza emessa dopo processi definiti una farsa da molti governi e attivisti, basati su confessioni ottenute sotto tortura e senza avvocati difensori.

Oltre tutto, non si sa nemmeno se Ali-Zamani abbia davvero par tecipato alle proteste. L’uomo, originario del sud ovest, ha lavorato davvero per il gruppo filo-governativo Anjoman. Lo conferma la portavoce del gruppo, negando però il resto della confessione inclusa la partecipazione di Ali-Zamani alle proteste. Lavorava per la loro stazione radio.

Nel 2005, suoi fan occuparono un aereo a Bruxelles. Quando presunti sostenitori dissero d’aver compiuto un attacco dinamitardo contro la diga di Sivand, nel sud del l’Iran, pensò d’avere un seguito, decise di tornare. E’ sparito in Turchia nel 2007. Ma il regime ha additato il gruppo per la bomba che nel 2008 uccise 15 persone in una moschea di Shiraz.

“Non ci sono pro ve che Ali-Zamani volesse com­piere atti violenti, è una con danna a morte politica che ne preannuncia altre”, dice Hadi Ghaemi della International Human Rights Campaign. “Il regime cerca di stabilire l’autorità persa attraverso le esecuzioni, al costo più basso possibile – dice MahmoodAmiry-Moghaddam di Iran Human Rights -. Hanno diviso gli imputati in due gruppi: da una parte, quelli da punire duramente con l’accusa di essere agenti di gruppi in esilio o stranieri. Ali-Zamani è un obiettivo a basso costo. Sanno che nelle strade la gente non appoggia lo Scià. Nell’altro gruppo, riformisti come Hajjarian che hanno confessato: verranno rilasciati per limitare la spaccatura nel regime”.

10 ottobre, 2009 - 16.38