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“Se Bersani vince, io resto”

 

<p>Giuseppe Fioroni</p>

Giuseppe Fioroni

“Se vince Bersani, io resto. Noi abbiamo creato il Pd e non ce ne andremo”.
“Il Pd è un partito che discute, fondato sulla democrazia. Esprimere le proprie idee non vuol dire divisione”.

“Alessandro Mazzoli si è candidato in una fase calda della politica. Ogni scelta produce delle rinunce e apre delle prospettive”.

E’ un Giuseppe Fioroni dilagante quello che arriva trafelato nella redazione di Tusciaweb. Un Fioroni che parla di tutti e tutto in vista delle primarie del Partito democratico del 25 ottobre.

Fioroni nasce nella grande scuola della Democrazia cristiana. Un’esperienza politica che lo porta al Partito democratico, a sostegno della mozione Franceschini.

Una lunga gavetta, in cui ha ricoperto importanti incarichi: è stato uno dei sindaci più votati di Viterbo. E’ diventato parlamentare e poi ministro della Pubblica istruzione con il governo Prodi.

All’inizio ha un po’ frenato sulla costituzione del Pd. Perché?
“Io non ho mai frenato per la costruzione del Partito democratico. Abbiamo dovuto riflettere bene prima di creare il partito. Il Pd è stata la conclusione di un viaggio. Dal 1996 eravamo in cerca della Terra Promessa, che oggi ci ha portato qui.

Ci abbiamo messo un po’. Ma non per la volontà di frenare la costituzione del partito. Era solo per evitare scelte di opportunismo e dare vita a un vero progetto democratico per lo sviluppo del paese.

Se oggi rappresentiamo un italiano su tre e alle ultime elezioni solo tre punti ci hanno distaccato dal Pdl è proprio per questo. Perché ci siamo impegnati a dare ai nostri elettori una valida alternativa al governo di Berlusconi, che continua a inscenare l’artificio della Guerra fredda, che ha solo alimentato spaccature nel paese. Con lo spauracchio dei comunisti… che non ci sono più.

Il 25 sarà un’ulteriore prova d’appello per noi. Non si tratta solo di dover scegliere il segretario, ma di scegliere quale Pd offrire agli elettori. Non ci interessa la provenienza dei nostri esponenti. Dobbiamo entusiasmare gli italiani con i nostri programmi.”

Allora non uscirà dal partito?
“La speranza di alcuni dirigenti di creare un grande centro è morta. Credere che una buona parte di noi se ne vada per farlo è un’ipotesi irrealizzabile. Certo, la scissione fa notizia, ma noi il Pd lo abbiamo costruito e noi non ce ne andiamo.

Poi a chi dice che, se vincerà Franceschini, come peraltro accadrà, se ne andrà, rispondo che spero almeno, che D’Alema e Bersani resteranno con noi.”

Il Pd è carente in fatto di laicità. Lei che viene dalla Dc come vede questa questione?
“Il problema non ce l’ha il Pd. Il problema è dei dirigenti del Pd che devono riflettere sul senso di laicità. Laicità vuol dire ascoltare tutti e decidere autonomamente per il bene comune. Non significa dire a qualcuno di stare zitto, anzi. Non è mancanza di valori.

Un partito è laico quando è in grado di ascoltare tutti. Non significa costruire un pensiero unico in cui tutti si riconoscono, perché non è di nessuno. Dobbiamo rappresentare la complessità del nostro paese.”

Quindi la Binetti ci sta bene in questo partito?
“La Binetti ci sta bene. Nella mia idea di Pd tutti sono ben accetti. Non amo l’idea di una certa sinistra che vuole essere un partito minoritario. Magari d’opposizione, dura e pura. Proprio per l’esclusività si perdono consensi e si ha vita breve.”

Lei prima è stato moroteo, poi andreottiano. Ora sta con Marini. Il suo è opportunismo o c’è un filo rosso che dà coerenza alla sua storia?
“Mah… personalmente senza fare riferimento alla fede, direi che le categorie che guardano in alto durano per sempre e ci danno maggiore senso di sicurezza, rispetto alla precarietà di un filo rosso che collega ieri, oggi e domani.”

Ha conosciuto Moro?
“No, l’ho visto solo da lontano alle riunioni di partito, eravamo tanti. Era difficile avere un contatto più stretto”.

E Andreotti? Come lo definirebbe?
“Moro e Andreotti hanno dato un contributo determinante alla Democrazia cristiana. Andreotti credo sia un pezzo significativo della nostra storia. L’unico che possa definirsi statista.”

Le primarie. Se lo aspettava uno scontro così duro?
“Le primarie sono uno strumento di grande democrazia. Ci dobbiamo scrollare di dosso la concezione di teocrazia iraniana diffusa dalla maggioranza. Un partito che non fa mai un congresso, non chiede mai la partecipazione degli elettori, ma che viene usato come megafono del capo per parlare alle masse, non è un partito.

E non ci dobbiamo stupire se poi abbiamo questa legge elettorale, in cui i candidati vengono nominati dall’alto. E se, allo stesso tempo, abbiamo un capo del governo che è insofferente alla funzione del Parlamento.

L’anomalia di un partito che non c’è, in Italia è diventata la normalità. Noi attraverso il congresso permettiamo agli elettori di partecipare direttamente per scacciare l’unanimismo ipocrita di una certa parte politica. I toni anche se un po’ duri servono al dibattito politico.”

Secondo lei c’è una deriva peronista in Italia?
“Più che una deriva peronista parlerei di una volontà di andare a un sistema presidenzialista, che punta a esaltare il singolo a discapito della collettività.”

Ma se Berlusconi ha stravinto non è colpa anche del Pd?
“Secondo me non ci dobbiamo focalizzare sulle nostre colpe. La sindrome del tafazismo è persistente nella sinistra. Molto spesso, infatti, il Partito democratico si è preoccupato più di dire ciò che non è stato fatto e quello che si sarebbe potuto fare meglio.

Gli italiani sono molto più maturi di quanto si creda. L’opposizione deve spiegare gli errori del governo. La soluzione non è rafforzare l’anti berlusconismo. Lo scopo è di mandare a casa Berlusconi e non perché siamo il male minore. Ma per attuare un programma costruttivo e farlo nel modo giusto.”

Da ex ministro dell’Istruzione, cosa pensa del possibile commissariamento del Tar del Lazio alla riforma Gelmini?
“Qui non si tratta di criticare la Gelmini. Il problema di questo paese è Tremonti. E’ da condannare l’aggressione mediatica della maggioranza, che diffonde l’idea di una scuola inutile, con professori parassiti, impreparati. Un’immagine profondamente diversa da quella che è in realtà.”

Cosa pensa delle primarie di Viterbo? Dello scontro che si è venuto a creare, delle accuse a Fabbrini?
“Non mi interessa cercare dei capri espiatori di un attacco o di un insulto. La politica urlata e dello sgambetto non fa per me.”

Come giudica la candidatura di Mazzoli alla segreteria regionale del Pd?
“La sua è stata una decisione complicata. Sarà lui a giudicare se giusta o sbagliata, consapevole che ogni scelta produce delle rinunce e apre delle prospettive.

Sarebbe stato il naturale ricandidato alla presidenza della Provincia. La scelta di guidare il Pd del Lazio lo assorbirà completamente, sia che diventerà segretario sia che non sarà eletto.

Spetta al partito individuare il programma, la coalizione e poi scegliere il candidato attraverso larghe consultazioni o le primarie.”

E sulla questione Asl?
“Non sta a me giudicare la gestione della Asl. Credo siano state fatte delle scelte importanti dalla giunta della Regione e dalla direzione della Asl di Viterbo. Con evidenti passi avanti.”

E le dimissioni di Aloisio?
“Aloisio si è comportato da professionista e ha fatto una scelta molto responsabile, quella di non voler confondere l’acredine nei suoi confronti con quella verso l’istituzione.”

Fioroni da grande che farà?
“Di sicuro non smetto, andrò avanti nel mio impegno politico, ognuno deve essere consapevole che nelle proprie fasi della vita può dare contributi diversi al suo partito, a prescindere dai gradi e dai progetti. Dico questo nelle consapevolezza che ognuno in questo paese quando si parla di rinnovamento pensa a un passo indietro di qualcun altro.”