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L’alambicco di Antoniozzi

Non basta togliere il crocifisso

di Alfonso Antoniozzi
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Leggo sui giornali l’ennesima polemica sull’opportunità o meno di affiggere crocifissi nei luoghi pubblici, segnatamente (in questo caso) nelle aule scolastiche e, come spesso mi capita in questi frangenti, mi viene quasi automatico alzare gli occhi al cielo e tirare un sospiro di rassegnazione come quando, a Natale, la Rai decide di mandare in onda l’ennesima, prevedibile replica di “Natale in casa Cupiello”.

Cercando di procedere per ordine, cominciamo col dire che non esiste nessuna legge che imponga di affiggere crocifissi alle pareti scolastiche, se si fa eccezione di un decreto del 1924 che imponeva, oltre al crocifisso, anche l’immagine del re e la bandiera, e uno del 1928 che nella dotazione obbligatoria di ogni scuola prevedeva, oltre al crocifisso, strumenti per la fanfara del ricreatorio festivo.

Decreti, questi, che non hanno forza di legge e che sono da considerarsi dei meri suggerimenti amministrativi (a meno di non volere a tutti i costi la fanfara, il che sarebbe nostro diritto).

Premesso questo, si può candidamente concludere che la presenza dei crocifissi alle pareti delle aule scolastiche (come pure su quelle di tribunali, uffici pubblici e via discorrendo) sia semplicemente un’usanza che, sebbene non imposta per legge, ha continuato ad esistere per via delle radici cattoliche su cui si sono fondate fino ad oggi la morale e la cultura italiane.

Ho detto fino ad oggi perché nessuno poteva ragionevolmente anticipare quanto e come la multiculturalità dovuta all’immigrazione avrebbe cambiato la società italiana che, a ragion veduta, non può più dirsi unicamente cattolica visto che nella nostra nazione ora vivono persone di ogni razza, cultura e religione e che sono, ai fini della legge e della morale, degne del medesimo rispetto di chi possa vantare di essere italiano e cattolico da più generazioni.

Posso benissimo comprendere come e quanto una persona che non sia cristiana possa sentirsi turbata dalla presenza di un crocifisso nelle aule scolastiche perché, nei fatti, la presenza di un simbolo religioso che non sia il proprio autorizza a pensare che se non lo Stato, almeno quel preciso istituto scolastico si identifichi nella religione cattolica.

Eppure mi sentirei di dire a chi si sente turbato che, a parte il valore religioso dell’immagine del crocifisso cui nessuno deve sentirsi obbligato a credere, proprio quell’immagine rimanda ad altri valori che sono universali e potrebbero essere fonte di meditazione.

Il primo che viene alla mente: su quella croce c’è un uomo che avrebbe potuto comodamente evitarsi il processo che l’ha portato alla morte di croce, e non l’ha fatto. Eppure, per chi crede, era Dio stesso. Ma non l’ha fatto. Si è sottoposto al giudizio degli uomini e ne ha pagato le conseguenze, malgrado i suoi amici fossero addirittura pronti a difenderlo a colpi di spada.

La presenza di crocifissi nelle aule di tribunale non manca mai di farmi sorridere, perché di fatto vedo alle spalle del giudice il protagonista del più clamoroso errore giudiziario della storia.

La differenza coi fatti di cronaca recente, perdonatemi, salta immediatamente all’occhio. Voglio dire, in un periodo in cui certi parlamentari si trincerano dietro l’immunità e altri personaggi gridano alla congiura ogni volta che li si porti, a torto o a ragione, di fronte ad un tribunale, la presenza di un crocifisso è lì a ricordarci che nella storia è esistito uno, uomo o Dio poco importa, che pur avendo potuto non ha voluto sottrarsi al giudizio degli uomini.

Chi abbia letto, anche distrattamente, i Vangeli, ricorderà anche che fu proprio il popolo a scegliere di liberare Barabba e mettere in croce Gesù. Se il nostro presidente del consiglio, cattolico, lo tenesse a mente forse avrebbe qualche remora prima di ripetere a ogni piè sospinto che “è stato scelto dal popolo”, visto che proprio quel crocifisso che è il simbolo della sua religione sta lì a ricordarci che il popolo non sempre ha fatto scelte che, alla prova dei fatti, si sono dimostrate inoppugnabili.

Certamente preferirei che nelle aule scolastiche, oltre al crocifisso, fossero esposti i simboli delle altre religioni (o, preferibilmente, di nessuna), così come preferirei che l’ora di religione fosse sostituita con l’insegnamento della “filosofia comparata delle religioni”, ma personalmente ritengo che un crocifisso appeso alle pareti di un’aula scolastica sia l’ultimo dei problemi della nostra pubblica istruzione e che, anzi, proprio quell’immagine potrebbe essere uno spunto laico per l’insegnamento di un senso morale e civico che ai giorni nostri sembrano essere smarriti.

In altre parole: un crocifisso staccato dal muro non è garanzia di un insegnamento laico. Una scuola dove invece si insegni a vivere (e non a lavorare, come paiono suggerire le ultime riforme) e che formi dei cittadini maturi e responsabili indipendentemente dalle particolari credenze religiose, sì.

E poco importa se l’esempio citato sia Gesù crocifisso, o Socrate, o Giordano Bruno.

Alfonso Antoniozzi

19 novembre, 2009 - 1.26