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Craxi, l’uomo che riformò la politica italiana

<p>Renzo Trappolini</p>

Renzo Trappolini

Senza un rene asportato per cancro, col fegato mal ridotto e i polmoni che funzionavano al trenta per cento, il diabete, Benedetto Craxi, detto Bettino, figlio del primo vice prefetto socialista di Milano, segretario e rifondatore del partito del padre, primo capo di Governo di sinistra dell’Italia repubblicana, morì un mercoledì pomeriggio, il 19 dicembre del 2000, tra le 16 e le 17, in Africa, Tunisia, Hammamet.
Lontano da Milano, la sua città e da Roma da dove aveva governato.

Umberto Cicconi, fotoreporter e strettissimo collaboratore, ha scritto che “a ucciderlo furono incomprensione e ingiustizia, rimpianti e solitudine, che scatenarono tutti i mali, divenuti poi mortali”.

Pietro Nenni, suo sponsor e maestro nel percorso di dissociazione e autonomia dal Partito comunista, ricorda nei Diari quello che diceva Talleyrand: “la politica non è cosa da verginelle che vanno alla prima comunione”.

Craxi nell’epoca del compromesso storico, l’accordo di governo tra cattolici (Dc) e marxisti (Pci), scelse la strada difficile dei guastatori e dei rinnovatori aggregare i comunisti al riformismo per l’alternativa socialista e della sinistra. Obiettivo sgradito alla egemonia del Partito comunista e all’antica arte della mediazione democristiana che proprio col Pci aveva scritto la Costituzione.

Per De Rita, il fondatore del Censis, Craxi era il “rampante vitale che aveva scavalcato l’onda lunga degli anni ’80″ per rompere, scrive Massimo Franco, “il mammismo Dc e il veteropaternalismo del Pci”.

Con Craxi rinasce il made in Italy, la politica estera diventa anzitutto economica e le nuove classi imprenditoriali trovano le porte aperte per salire in palcoscenico.

Non mancano i profittatori, quelli che Craxi finge di non vedere, che considera i mariuoli, come Mario Chiesa che con le sue malefatte nell’ospizio di Milano apre le porte a Tangentopoli.

Con loro i “nani e ballerine” la corte che danza attorno ai palchi-templi dei congressi costruiti dall’architetto Panseca con la solennità del più antico culto della personalità.

Li definisce così Rino Formica, importante ministro socialista delle Finanze quando Craxi guidava una delegazione governativa per l’Oriente così numerosa che il ministro degli Esteri Andreotti annotò: “Vado in Cina con Craxi e i suoi”.

Formica, da segretario amministrativo del Psi, aveva fatto deflagrare la bomba della vicenda Eni Petromin, forse la tangente madre di tutte le altre, pagata da un principe arabo a chi avrebbe dovuto acquistare il Corriere della Sera e fare buona opera di anticraxismo a Milano, il cuore del potere di Bettino.

Fu accusata la Sinistra socialista e il vecchio Riccardo Lombardi definì i modi di Craxi alla guida del partito “da Fuhreprinzip”.

Craxi era stato eletto segretario del Psi all’hotel Midas di Roma nel 1976 e i compagni, votandolo, pensarono di poterlo neutralizzare facilmente e presto.

Non andò così e il Psi cambiò, non solo simbolo e bandiere, ma anche pelle.

Ad Agnelli, il padrone della Fiat e di tanto altro, Craxi mandò subito a dire “In democrazia non esistono imperatori e è arrivato il momento che l’avvocato scenda dal trono”.

A Nerio Nesi, storico presidente della maggiore Banca italiana allora di proprietà dello Stato, quando lo informò della impossibilità tecnica di finanziare un importante ingegnere milanese, disse “Va a imparare come si fa il banchiere”.

Quando Scalfari, per attaccare la sua intraprendenza fuori le righe, lo chiamò Ghino di Tacco, lui cominciò a firmare i suoi corsivi col nome del brigante taglieggiatore della rocca di Radicofani.

Il suo eroe era Garibaldi che “rifiutava il fanatismo dei rivoluzionari e conservava il buon senso delle cose possibili”, come lui quando trattava con i governi stranieri.

Dice Andreotti: “Craxi non studiava un dossier che fosse più lungo di una pagina, ma nei contatti internazionali sapeva andare al cuore del problema, con molto garbo”.

Anche a Sigonella dove resistette agli americani schierando i carabinieri contro i marines, non tollerando attacchi alla sovranità nazionale e nella trattativa più delicata, quella con la chiesa così che oggi il direttore dell’Osservatore romano, Vian, riconosce che “alla base degli attuali buoni rapporti tra Santa Sede e Italia c’è il concordato firmato nel 1984 da Craxi col cardinale Casaroli”.

Negli anni del terrorismo assunse, in contrasto con la politica della fermezza di democristiani e comunisti, la linea della trattativa e, dal luogo in cui era stato imprigionato, il leader dc Aldo Moro scriveva al segretario del Psi “sono qui a scongiurarti di continuare e anzi accentuare la tua importante iniziativa…”

Consapevole del suo potere e del suo ruolo assorbente all’interno del Psi, lamentava “concentrando tutto su di me, quando non ci sarò più non ci sarà neppure il socialismo, che invece deve sopravvivere a ogni cambiamento”.

Come parlasse di sé, nella prefazione a un libro “Il Generale” su Giuseppe Garibaldi, ricordò le parole pronunciate sul letto di morte dall’eroe dei due mondi: “Tutt’altra Italia io sognavo nella mia vita… e ho la sensazione di lasciare qualcosa di incompleto con riguardo all’assetto sociale ed economico della Nazione”.

Benedetto Craxi, detto Bettino, era nato a Milano nel 1934. A 49 anni diventò presidente del Consiglio. A 60 gli ritirano il passaporto e a 66 fu sepolto in terra d’Africa…

Renzo Trappolini