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L'opinione di Oreste Massolo

Si pensi a ricostruire L’Aquila… davvero

di Oreste Massolo
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Torno dall’Aquila: impressionante.

Una città che esiste ancora, almeno con le facciate dei palazzi, ma è morta.

Incontri persone, ma sono turisti come me: degli abitanti non c’è traccia. Tutto è puntellato e ti muovi solo tra ponteggi; ti imbatti in un edificio che sembra intatto, avvicinandoti scorgi delle sottili fessure, sono invece crepe profonde, all’interno, i solai sono crollati, la costruzione è inagibile.

I negozi sono chiusi, se guardi attraverso le vetrine scorgi calcinacci e suppellettili in terra.

Le basiliche (Collemaggio, San Bernardino), il duomo semidistrutti ed avvolti da impalcature.

Una opprimente desolazione ti stringe il cuore e la gola.

Anche le antiche mura di cinta sono puntellate ed in parte crollate: i vigili del fuoco delle diverse città italiane, intervenuti per impendirne la totale distruzione, hanno voluto lasciare la loro firma incisa su archi o palanche di legno che indicano il tratto sul quale hanno operato.

La ricostruzione durerà numerosi anni: si stanno ancora sgombrando le macerie; nel centro storico nulla ancora è stato fatto. Si stanno consolidando – questo sì -, nelle frazioni, le abitazioni che sono state lievemente danneggiate. Non esiste un programma su come procedere o almeno non si conosce; di qui muovono le tante preoccupazioni degli abitanti più che giustificate.

Le case che il governo ha costruito – nessuno resti sotto una tenda – appaiano un fatto positivo, ma contengono un’insidia. Si tratta come è noto di 19 insediamenti scollegati e distanti fra loro e con il centro storico: cattedrali nel deserto ed una violenza al paesaggio.

L’Aquila, la città dai 99 castelli, ne avrà nel prossimo futuro 118. E molti saranno disabitati. Sarebbe stato meglio edificare casette in legno, più economiche, da smontare mano a mano che la ricostruzione procedeva. Non vi è stato alcun dibattito pubblico e ora le case di Berlusconi e Bertolaso stanno diventando il simbolo della città distrutta, destinata a restare tale non si sa per quanti anni.

Gli abitanti, tuttavia, non si arrendono. Hanno appeso alle transenne che delimitano la zona rossa, dove è vietato accedere, le chiavi delle loro case. Nella villa comunale, in prefabbricati di legno, hanno trasferito negozi e botteghe; alcuni, in palazzi puntellati, hanno coraggiosamente riaperto i loro esercizi commerciali, ma non vi sono clienti.

Torno dall’Aquila addolorato; persone che conoscevo sono disperse nei paesi della costa adriatica, altre ormai pensano di non potere più rientrare nella propria casa; un tessuto sociale, costituito da amicizie e da relazioni, è del tutto disgregato. Eppure in molti non si danno per vinti.

La ricostruzione della città deve allora diventare una questione nazionale; non può essere lasciata nelle mani del presidente del consiglio e del suo aiutante, Bertolaso.

Il tempo degli spot televisivi è trascorso. Architetti, urbanisti e ingegneri è urgente che scendano in campo e che si apra un confronto sui modi e sui tempi del ritorno alla vita del capoluogo abruzzese.

Ricorda un cronista aquilano del ’300, Buccio di Ranallo, nelle Cronache della fondazione dell’Aquila “Gridaro tucti insieme, la città facciamo bella che nulla nello regame possa confrontarsi ad essa”. Con tali parole e con questo spirito è si deve ripartire e al più presto.

Oreste Massolo

2 aprile, 2010 - 17.08