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La società è tutt’altro che standardizzata

<p>Francesco Mattioli</p>

Francesco Mattioli

Si diceva, nel precedente intervento, che non esiste contrapposizione tra stato laico e stato etico, ma tra laicismo e confessionalismo.
Il secondo ha caratterizzato gran parte della storia passata, fino all’800, il primo è la conseguenza dell’irrompere dell’illuminismo, del razionalismo, del positivismo e del marxismo sulla scena della politica e della conoscenza.

In ambedue i casi, si tratta di un’opzione di valori, cioè di una weltanschauung, di una “visione del mondo” che ispira un concezione della società e dello stato che la governa. E c’è di più: ciascuna di queste visioni del mondo impegna moralmente e socialmente (come dire: politicamente) l’individuo a realizzarne gli obiettivi.

Questo vale, quindi, anche per i cattolici. Ai quali sia il Vangelo che il Concilio Vaticano II richiedono l’impegno ad agire, a fare testimonianza, a fare “apostolato” , il che non significa – come qualcuno in vena di timidezze ha proposto – comportarsi bene e dare l’esempio, ma attivarsi nella società per cambiare il mondo o comunque per indirizzarlo verso gli insegnamenti di Cristo.

Parimenti, l’individuo laico – capitalista o marxista che sia – è impegnato a realizzare “il migliore dei mondi possibili”, sia che si tratti di creare un società liberale pronta a crescere nella competizione economica, o che si tratti di attuare la rivoluzione del proletariato: in ogni caso, non se ne sta lì a guardare come va il mondo, ma intende dargli un’impronta mediante una “partecipazione diretta” alla cosa pubblica.

Di questa impossibilità a sottrarsi all’ideologia non si libera neppure la scienza. Non me ne vogliano i sostenitori del Cicap i quali, in nome della scienza, sono pronti a negare tutto ciò che non può essere sottoposto a verifica empirica. Ma essi stessi sono arroccati su posizioni ideologiche perché, come Kuhn ha evidenziato già quaranta anni fa, anche la concezione della scienza dipende dalla contrapposizione di poteri sociali storicamente determinati.

A seguire fino in fondo l’atteggiamento del Cicap, difensore della “certezza matematica” della scienza (alla Oddifreddi, per intendersi), rischierebbero persino Heisenberg e Einstein – che hanno introdotto elementi di indeterminatezza sia nella teoria che nella sperimentazione scientifica – ed è proprio con un atteggiamento di chiusura verso qualsivoglia pensiero scientifico divergente che dovette scontrarsi Pasteur.

Il rischio quindi è che dalla scienza che smaschera gli imbrogli, si passi troppo facilmente allo scientismo, e dallo scientismo ad una mera crociata a favore del materialismo, e da qui all’esaltazione dell’ateismo, e quindi ancora una volta ad una opzione ideologica.

La società odierna insomma è tutt’altro che standardizzata: la globalizzazione ha creato solo apparentemente una maggiore uniformità socioculturale – semmai nei consumi di massa – in realtà mediante lo sviluppo dei nuovi media ha dato voce alle mille differenze esistenti sul pianeta, ha creato conoscenza reciproca, ma di conseguenza anche confronto, e talvolta scontro.

Se le cose stanno così, se questa pluralità è nella natura stessa della complessità globalizzata, viene da chiedersi se proprio in Italia possa sopravvivere la logica del bipartitismo.

Perché l’Italia dei campanili è, per importanti motivi storici, nel nostro dna (e non a caso abbiamo sessanta milioni di CT della nazionale di calcio, ma anche sessanta milioni di premier…). E i fatti lo stanno dimostrando: fratture nel blocco di centrodestra, fratture nel blocco di centrosinistra, fratture nell’estrema destra, fratture nell’estrema sinistra, riemergere di posizioni eccentriche rispetto ai due blocchi contrapposti.

Ma c’è anche una componente che gioca un ruolo fondamentale nello sparigliare la scena: la posizione dei cattolici.

A rigore, qualora i cattolici fossero coerenti con il loro credo religioso si avrebbe: a) l’obbligo di far prevalere i valori del Vangelo; e quindi, b) l’obbligo di agire nella società, e di non stare a guardare; c) l’obbligo di seguire le proprie autorità religiose; d) l’obbligo di schierarsi contro (e quindi di non sostenere) qualsiasi formazione politica che propugni il razzismo e la discriminazione, lo sfruttamento, l’emarginazione, la violenza, che preveda la possibilità di sopprimere la vita, a qualunque stadio e per qualsiasi motivo, che ammetta un tipo di famiglia diversa da quella naturale, ecc., ecc.

Coerentemente con tutto ciò, i cattolici non dovrebbero essere presenti in formazioni politiche che non riconoscano a pieno questi valori, e quindi probabilmente non dovrebbero ritrovarsi né a destra (dove sopravvivono manifestazioni di forte razzismo e di elitarismo), né a sinistra (dove esiste un concezione laica e laicista che contrasta alcuni valori cristiani), forse nemmeno in un certo centro (troppo impegnato a fare l’ago della bilancia), ma dovrebbero creare una “terza forza” con una propria etica politica.

Il che non avviene: e il motivo è semplicissimo, si trova in un dato meramente statistico: il 75% dei cattolici pratica un cattolicesimo “fai da te” che reinterpreta a piacimento non solo il dettato dei sacramenti, ma anche l’interpretazione delle Scritture (ove, e raramente, conosciute) e la stessa concezione della religione.

Perché ciò accade? Intanto, perché se è vero che la fede è ( o dovrebbe essere…) una, gli aspetti secolari della religione (gerarchie, organizzazione, liturgia) tendono inevitabilmente a sottostare ai cambiamenti della storia e quindi possono essere considerati da punti di vista diversi. Ma probabilmente le cause vanno ricercate ancora una volta nello stato di incertezza e nella crisi delle istituzioni che pervade la postmodernità; nella stessa fede, che come tale talvolta vacilla; o forse – e di più – nella logica dell’individualismo e del consumismo della società attuale.

Di certo, tutto ciò crea complessità, incertezza, non semplifica le cose, e di certo non gioca a favore del bipartitismo o più in generale del chiarimento della situazione politica, sociale e culturale del nostro Paese, e più in generale del mondo occidentale; anzi, le complica.

Francesco Mattioli