Invia questo articolo Stampa questo articolo
Condividi: Queste icone linkano i siti di social bookmarking sui quali i lettori possono condividere e trovare nuove pagine web.
  • Webnews
  • Digg
  • del.icio.us
  • Facebook
  • Google Bookmarks
  • LinkedIn
  • Live-MSN
  • MySpace
  • OKnotizie
  • Technorati
  • YahooMyWeb
  • TwitThis
L'angolo della psicologia

Un male oscuro chiamato depressione

di Angelo Russo
</p>

Ma il cielo è sempre più blu.

Cantava così Rino Gaetano negli anni 70. Il ritornello, di una canzone che è tutt’oggi di grande attualità, rimandava al colore del cielo e alla capacità di rinnovarsi ogni giorno.

Nonostante tutte le difficoltà della vita, il sole sorge ancora giorno dopo giorno. E il cielo è sempre più blu…

E’ proprio la mancanza di colore a caratterizzare chi non riesce più a divertirsi ed a provare nuovi stimoli.

Quando l’apatia e la noia prendono il sopravvento, gli impegni quotidiani sembrano richiedere un enorme fatica e il grigio domina sui colori, c’è da stare all’erta, può essere un principio di depressione.

Pur essendo riconosciuta da tutti come uno dei grandi mali della società moderna, la depressione lascia molte domande irrisolte sulla sua origine.

Sia la medicina che la psicologia comunque, nonostante le difficoltà, cercano da anni di fare un po’ di luce nel buio pianeta della depressione. Chi ne è colpito conosce i subdoli meccanismi che si instaurano sia nella mente che nel corpo. Tutto diventa difficile. Le piccole cose quotidiane da affrontare diventano montagne insormontabili, assale una “tristezza incomprensibile” e si fatica persino a camminare.

Tutto diventa negativamente amplificato, si è pervasi da una condizione di costante apatia. Si può essere facilmente irritabili e la gioia diventa una meta irraggiungibile. E’ facile perdere la capacità di amare e non c’è nulla che possa entusiasmare.

Anche il corpo diventa un peso da sostenere e i disturbi del sonno, numerosi in questa condizione, non aiutano a riequilibrare la stanchezza. Nelle persone depresse, infatti, il dormire è carente di fasi profonde e il sonno leggero è interrotto da frequenti risvegli. Uno dei momenti peggiori è quando ci si alza alla mattina, spesso dopo nottate da incubo, non si ha la forza di affrontare la giornata, e i dolori che ne derivano interagiscono con i pensieri distruttivi. Nei casi molto gravi è perfino difficile alzarsi dal letto per affrontare la giornata.

La depressione può colpire tutti, e in diversi modi: può essere ciclica, una costante nell’intera esistenza, oppure, nei casi più fortunati, sporadica fino ad esserne colpiti una sola volta nella vita.

Secondo alcune ipotesi, anche se a livello macroscopico, si può ritenere che sia fattori genetici che ambientali influiscano nel decorso della depressione. Spesso viene usata la distinzione tra depressioni endogene e psicogene. Quelle endogene, le più gravi, hanno origine somatica e sono soggette a fattori ereditari; quelle psicogene solitamente più lievi, hanno origine da situazioni stressanti e dalla scarsa capacità di reazione del soggetto colpito.

Sia per le donne che per gli uomini le cause ambientali vanno ricercate nelle esperienze di perdita e di separazione. Freud sosteneva che la depressione fosse la risposta psichica alla grave perdita di un oggetto d’amore, vissuto come un lutto non elaborato e relegato nell’inconscio.

Altri autori pur condividendo l’angoscia legata alla perdita vanno più nello specifico attribuendola nei soggetti femminili a conflitti sentimentali, contrasti coniugali, infedeltà o inadeguatezza del marito, a cui seguono solitudine e mancanza di rapporti interpersonali. Nei maschi influiscono principalmente le eccessive tensioni emotive legate al proprio lavoro.

Quasi tutte le ricerche effettuate nell’ambito della depressione evidenziano un dato che viene generalmente accettato: su tre pazienti due sono donne. Su quest’ultima affermazione il dibattito è sempre aperto, alcuni avallano l’ipotesi che i soggetti femminili siano più reattivi allo stress, ma sembra più che probabile che gli uomini siano più restii ad ammettere i sintomi del malessere, e cerchino altre strade per combattere il “male oscuro”.

L’alcoolismo in alcuni casi diventa un rifugio sicuro. L’età del depresso è molto varia, e comunque vi sono dati abbastanza convergenti: c’è un forte aumento nei giovani con la fascia più colpita che va dai 18 ai 44 anni. Nelle donne l’incidenza è maggiore prima dei 35 anni, mentre negli uomini l’età più a rischio è sopra i 55. Accettando comunemente l’ipotesi della doppia natura della depressione, si capisce anche il perché la malattia viene curata generalmente con i farmaci e con terapie psicologiche di sostegno.

Il trattamento farmacologico e quello psicoterapico integrati fra loro hanno un tasso di successo dal 60 all’80%.
Spesso i familiari del depresso sono portati, in buona fede e con affetto, ad esortare il paziente a reagire, a farsi forza, come se la passività del depresso sia da lui stesso superabile con uno sforzo di volontà. E’ come se gli si negasse il diritto di sentire ciò che sente. Tutto ciò, al contrario, potrebbe aumentare la frustrazione del malato che, oltre a non sentirsi compreso, potrebbe vivere con senso di colpa la propria incapacità di auto aiutarsi.

E’ meglio stargli vicino e comprendere la sua sofferenza. Per il malato, spesso, riconoscere e dare un senso alla propria depressione, anziché disconoscerla, è già un piccolo primo passo per tornare alla vita.

21 maggio, 2010 - 17.50