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L'angolo della psicologia

La maschera e l’ombra

di Angelo Russo
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Troppo spesso accade che le parole non siano in sintonia con il pensiero. Succede per compiacere. Per contraddire. Per obbedire a delle regole sociali, o nel caso più subdolo, per ottenere dei vantaggi.

Esiste anche un altro caso: quando la produzione del pensiero non in sintonia con la verbalizzazione avviene spontaneamente, senza alcun vantaggio apparente, ma come una sorta di gioco al quale è difficile sottrarsi.

E un gioco intimo, alle soglie della consapevolezza. Non c’è troppo da meravigliarsi. Ognuno di noi l’ha fatto qualche volta. Luca la prima volta, che ne fu consapevole, si meravigliò. Aveva 13 anni, e in risposta alla commessa che chinatasi, per porgergli il pacchetto all’altezza delle mani, lasciò intravedere una buona parte di seno disse: grazie era proprio l’oggetto che cercavo.

“Abbassati di più vorrei vedere meglio dentro la scollatura”, fu il suo pensiero. Il rossore che avvampò sul suo volto gli fece credere di essere stato smascherato. La bella commessa forse leggeva nel pensiero. Avrebbe voluto scomparire per la vergogna. Proprio a me doveva capitare, pensò mentre usciva di corsa.

Per gli amici Luca era proprio simpatico, aveva il gusto della battuta, ed era “percepito” come uno di cui ci si può fidare. Non amava stare al centro dell’attenzione, diceva lui, ma finiva sempre per esserci. A scuola riusciva bene, per sua fortuna senza impegnarsi più di tanto, altrimenti sarebbe stata dura. Il tempo per studiare gli sembrava perso. Amava più il gioco e la compagnia.

Era un ragazzino vivace. Molto vivace. A quattordici anni aveva già la fidanzatina, e i suoi discorsi erano le imitazioni di quelle degli adulti. “Vedi cara – le disse in una giornata di primavera, quando i fiori sbocciavano e le rondini rasentavano i tetti delle case – mi piacerebbe essere come un uccello, volare libero nell’aria e fare il nido insieme a te, dolce rondinella, per i nostri cuccioli. “Col cavolo che, quando sarò grande, ti sposerò” appariva nella parte pensante del suo cervello.

A 16 anni, a scuola, Luca, si rese conto di aver raggiunto livelli considerevoli. Era stato eletto rappresentante d’istituto, e rivolto alla preside, nel suo discorsetto d’investitura riuscì a dare il meglio di sé.

Cara preside, sono convinto che noi studenti cercheremo di dare il massimo per contribuire al raggiungimento di una più fattiva collaborazione tra docenti e studenti. Il nostro scopo prioritario sarà quello di impegnarci, oltre che nello studio, al miglioramento dei rapporti interpersonali tra chi gestisce la scuola e noi studenti.

Da oggi in poi cercheremo di instaurare un nuovo rapporto.

(Nel suo pensiero): “Brutta arpia, se ti aspetti che collaboriamo con te e quei rincoglioniti dei professori, hai capito proprio male. Il nostro scopo principale sarà quello di farvi vedere i sorci verdi, di ottenere i massimi voti con il minimo sforzo. Non scenderemo mai a compromessi con voi. Da oggi in poi saranno c…. vostri”.

Questo racconto, immaginario ma con spunti reali, nella sua estensione simbolica, offre l’opportunità di affrontare due concetti tanto cari alla psicologia analitica di Jung: La “Maschera” e “l’Ombra”. Ovvero ciò che siamo in realtà e lo sforzo che facciamo per apparire agli altri in modo migliore. Jung chiamò “Persona” (dal greco maschera), la struttura esterna della sfera personale, il ruolo che assumiamo abitualmente, la faccia che mostriamo quando entriamo in rapporto con gli altri.

Nel dramma classico greco l’attore indossava una maschera che dava rilievo al ruolo che interpretava, e nello stesso tempo nascondeva l’attore. La “Persona” fa da intermediario tra la l’individuo e la società. E’ dunque un compromesso tra i ruoli che la società offre e la volontà dell’individuo di ricoprire il ruolo scelto. I bambini apprendono rapidamente che certe qualità sono desiderabili ed altre meno, esiste quindi una certa predisposizione ad inserire nella “Persona” tratti desiderabili, mentre quelli indesiderabili vengono rimossi o nascosti. Tali rimozioni costituiscono ciò che Jung chiamò “Ombra”.

L’attività di base di gran parte della psicoterapia o delle discipline teoriche consiste nell’integrare i contenuti dell’ombra. “L’Ombra” possiede qualità opposte a quelle manifestate dalla “Persona”, di conseguenza questi due aspetti della personalità si completano e si bilanciano reciprocamente. “L’ombra” equivale approssimativamente a tutto l’inconscio Freudiano, e può essere costellata di complessi di varia natura, principalmente, sessuali e aggressivi, ereditati dall’infanzia.

E’ impossibile, in qualsiasi società, diventare adulti senza alcuna deviazione dagli standards sociali e familiari di quella società, c’è sempre un contenuto residuo “nell’Ombra” dall’infanzia all’età adulta. Materiale che originariamente è assegnato “all’Ombra” può essere utile per vivere creativamente l’età adulta.

Riconoscere la propria “Ombra” può essere, a volte, un’esperienza notevolmente penosa, tanto che si cerca di evitare tale disagio impiegando dei meccanismi di difesa. In condizioni nevrotiche ci si deve aspettare un certo grado di scissione tra la “Persona” e “l’Ombra”. Una fase essenziale del trattamento Junghiano consiste nel portare alla coscienza la personalità “Ombra” al fine di riavvicinarla alla “Persona” e promuovere una integrazione, positiva, fra questi due opposti.

Angelo Russo

29 giugno, 2010 - 17.01