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L'opinione di uno sporco comunista

Chissà se qualcuno troverà mai l’agenda rossa…

di Valerio De Nardo
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Ricordo bene il 19 luglio di diciotto anni fa.

Da appena un mese vivevo a Viterbo, dove ero arrivato appena pochi giorni dopo la strage di Capaci. Mentre saltavano in aria Falcone e Borsellino finiva di disfarsi quello che era stato l’impero sovietico e la Jugoslavia si dissolveva tra guerre e orrori di là dall’Adriatico.

Faceva caldo quella domenica di luglio, com’è naturale che sia. La notizia della bomba di via D’Amelio mi lasciò in uno stato di stupore atterrito. Ma a leggere quanto sta emergendo negli ultimi mesi circa i legami di Cosa Nostra con settori politici e istituzionali, fino alla presenza di uomini dei servizi di sicurezza nell’organizzazione degli attentati, rimango, se possibile, ancora più stupito e atterrito.

In quel 1992 iniziò Tangentopoli e Bettino Craxi provò a minimizzare quanto accadeva dando del “mariuolo” a Mario Chiesa, il presidente del Pio Albergo Trivulzio beccato con la tangente dalla quale discese la valanga di mani pulite.

Oggi Berlusconi definisce “quattro sfigati in pensione” i residui di P2, i magistrati, gli uomini politici coinvolti nell’inchiesta romana che sta scuotendo i palazzi del potere. Ci sarà un parallelo?

In questi giorni mi chiedo che cosa potrà scrivere uno storico del 2050 sull’ultimo ventennio della nostra storia, in cui poteri finanziari, economici, mediatici, istituzionali e politici si sono avviluppati con i poteri criminali, le logge coperte, le piccole e le grandi mafie.

Pare proprio che la caduta del muro di Berlino e la fine della prima Repubblica abbiano lasciato campo libero ai predatori, rivelatisi capaci non soltanto di appropriarsi dei beni pubblici, ma di contagiare gran parte della società con le loro visioni ed i loro metodi.

Intanto uomini ai vertici della polizia di Stato e dei servizi di sicurezza vengono condannati per i fatti di Genova del 2001 (il 20 luglio moriva Carlo Giuliani) e il comandante del Ros dei carabinieri viene condannato addirittura a 14 anni di carcere. Ma in che Paese viviamo?

Certo è un gioco banale quello di immedesimarsi in uno storico del futuro. Ma se mettessimo in fila la cronaca di questi ultimi anni, mesi, fino a quella degli ultimi giorni e se ponessimo un certo distacco nel valutarla, allora forse la leggeremmo per quel che è: il tramonto triste e cupo di un ciclo storico della nostra nazione.

Più che il destino di un gruppo di potere, però, qual che mi preoccupa è la narcosi della società italiana: stanca, provata, silenziosa, incapace di reagire. E’ curioso e preoccupante avere sentito più di una persona paragonare la nostra condizione a quella di una fuga da un edificio che crolla, mentre si cerca di scansarne le macerie.
Forse al nord qualcuno vuole che accada proprio questo, per agganciare la Baviera e mollare il Mezzogiorno, mentre nel frattempo la ‘ndrangheta si è comodamente insediata nelle province lombarde. Chissà se il nostro storico della metà del XXI secolo scriverà anche questo capitolo…

Celebrare il ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino oggi può essere dunque un modo per celebrare l’unità nazionale sulla base della legalità e dell’impegno civile.

Non sono fiction come la Piovra a screditare l’Italia, ma i personaggi in carne e ossa come i Tano Cariddi, che le sentenze hanno individuato. Non sono i Roberto Saviano a fare del male alla nostra nazione, ma il verminaio campano fatto di legami camorristici e dossieraggi tra colleghi di partito.

Sicuramente lo storico del 2050 ricostruirà la sfilza di leggi fatte su misura per bloccare ogni potere che si opponesse alla deriva autocratica che stiamo vivendo. Chissà se riuscirò a leggere quel che scriverà o se ci saranno ancora i programmi di Rai Storia a rendere plasticamente, con la forza di immagini e parole e con nuda sequenza dei fatti quanto sta accadendo qui, oggi, sotto i nostri occhi.
Chissà se qualcuno ritroverà mai l’agenda rossa di Paolo Borsellino…

Valerio De Nardo

20 luglio, 2010 - 17.44