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Draghi e il cavaliere

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Ed ora che il Custode della Moneta chiede di stabilizzare i precari, quale coro intoneranno gli aedi e i rapsodi della flessibilità più spinta?
Sia chiaro che il governatore della Banca d’Italia, nella sua lectio magistralis di venerdì scorso all’università di Ancona in ricordo dell’economista Giorgio Fuà non era mosso da sentimenti compassionevoli.

Mario Draghi evidenziava infatti come l’incertezza del rapporto lavorativo sia un danno per l’economia nel suo complesso.

“Senza la prospettiva di una pur graduale stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari – ha affermato – si indebolisce l’accumulazione di capitale umano specifico, con effetti alla lunga negativi su produttività e profittabilità”.

Credo che leggeremo tra qualche anno gli effetti veri che la grande crisi finanziaria manifestatasi alla fine del 2008 produrrà non solo nell’economia, ma anche nelle vite, nelle relazioni, nella cultura di ciascuno di noi. Io penso che la globalizzazione capitalistica assumerà un segno nuovo e diverso da quello disceso dagli anni del reaganismo e del tatcherismo in poi.

Di certo vi è che non possiamo pensare di smantellare il sistema che ha fatto crescere la sicurezza: non quella fittizia spacciata sotto campagna elettorale dai telegiornali ansiogeni, ma quella sociale, che ha regalato ai cittadini italiani ed europei del secondo dopoguerra un modello invidiabile.

Al di là della tristezza che le vicende squallide delle escort di corte infondono in un Paese sfibrato, sfiduciato e sempre più disincantato, mi pare che monti sempre più una rabbia muta per il distacco fra i proclami del “fare” e il deserto dei fatti. Ed i fatti sono sempre più quelli di disoccupati giovani e meno giovani.

Il richiamo di Mario Draghi deve suonare come un allarme per tutti: oggi gli italiani “sono mediamente ricchi, hanno un’elevata speranza di vita, sono in gran parte soddisfatti delle loro condizioni; l’inazione – afferma il governatore di Bankitalia – è sostenibile anche per un periodo lungo, potrebbe generare un declino protratto”.

E conclude: “La ricchezza è il frutto di azioni e decisioni passate, il Pil, legato alla produttività, è frutto di azioni e decisioni prese guardando al futuro. Privilegiare il passato rispetto al futuro esclude dalla valutazione del benessere la visione di coloro per cui il futuro è l’unica ricchezza: i giovani”.

Una tale visione mi basta per tifare Italia alla presidenza della Banca centrale europea: almeno recupereremmo qualcuna delle brutte figure con le quali ci stiamo letteralmente sputtanando nel mondo. Insomma, siccome non parliamo di san Giorgio, dobbiamo tifare Draghi piuttosto che Cavaliere…

Valerio De Nardo