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L'alambicco di Antoniozzi da Tel Aviv

La musica ci rende migliori

di Alfonso Antoniozzi

<p>Alfonso Antoniozzi</p>

Alfonso Antoniozzi

Il motto che campeggia sullo stemma dell’Accademia di Santa Cecilia, sormontato da canne d’organo che si levano verso l’alto, è “concordia discors”, ovvero un’armonia discordante.
L’origine di questo motto, inventato da Orazio ma le cui tracce vengono fatte risalire da alcuni addirittura a Pitagora, affonda le sue radici nel fatto che in natura i quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco) di per sè apparentemente opposti e discordi, paradossalmente creano una perfetta armonia nel mondo.

Chi lavora nel campo della musica, sa bene quanto il paradosso, l’ossimoro contenuto in questo motto sia in realtà quanto di più vero possa esistere in natura.

In un’orchestra i fiati hanno un suono diverso da quello dei legni, le percussioni sono molto diverse dagli ottoni e spesso, ad analizzare le singole linee melodiche che compongono una sinfonia, pare che l’insieme di note non abbia poi molto senso di per sé: ma provate ad ascoltarle tutte insieme, e l’anima si illumina.

Isolate la linea dei bassi in un corale di Bach e non ne comprenderete la grandezza, ma unitela al canto dei soprani, al contrappunto dei tenori, al controcanto dei contralti e ne usciranno meraviglie.

L’educazione musicale, da sempre Cenerentola delle scuole italiane e relegata all’abborracciato studio di quel fastidioso strumento che si chiama flauto dolce, potrebbe esser invece l’esperimento più riuscito per spiegare ai giovani come le opinioni di tutti, se armonizzate e finalizzate a un progetto comune, possano contribuire a creare il bello.

In quest’Italia frazionata, frammentata, impoverita e ridotta a perpetuo battibecco da cortile non tanto dall’insipienza della nostra classe politica quanto dal modello barbaro di certi programmi televisivi che, da vent’anni a questa parte, fan passare l’informazione che vince chi grida di più rifiutando ogni forma di dialogo e che confrontare le proprie idee significhi darsi sulla voce, la musica che esce dalle voci dei cittadini è cacofonia (dal greco: cattivo suono), ossia una discordanza che non porta da nessuna parte.

Manca, in questo nostro povero Paese abbrutito da un uso sconsiderato dei mass media, l’educazione al dialogo propositivo. Manca il senso di appartenenza ad un’unica grande orchestra, l’Italia, che deve suonare “insieme” qualunque sia il repertorio che sceglie di eseguire.

Anche se la composizione scelta fosse una composizione moderna, dodecafonica, enneadecafonica, dissonante, l’orchestra deve ricordare di essere un’orchestra.

Siamo invece diventati una brutta banda di solisti impazziti, ognuno perso dietro il suo rigo musicale, completamente ineducati a suonare insieme. O,se preferite, un paese di tenori persi dietro il loro acuto: una nota d’effetto, per eseguire la quale si tira al risparmio l’esecuzione del resto della melodia perchè si sa che certo pubblico, ignorante di musica e avido solo di fuochi d’artificio, è lì solo per sentire il do di petto.

Un bel contrappasso, per un Paese che la musica l’ha praticamente inventata.

Qualsiasi direttore si trovasse a dover gestire una compagine così malandata ha come primo, categorico imperativo quello di insegnare agli orchestrali, al coro, ai solisti a suonare e cantare insieme e ad ascoltare gli altri. La musica d’insieme è, principalmente, ascolto.

All’orizzonte, ahimé, non si intravede un Toscanini. Abbiamo, invece, mille direttori il cui fine ultimo pare esser quello di dimostrare che la loro orchestra, per quanto sconclusionata e limitata nel repertorio, è migliore dell’orchestra altrui. Alcuni, grazie a considerevoli investimenti pubblicitari, ci riescono pure.

Ma il grande concerto, la concordia discors appunto, mi sembra davvero l’unico progetto possibile per poter suonare insieme una musica che ci consenta di uscire dal pantano in cui ci siamo andati a cacciare.

La musica, come vedete, può insegnarci a vivere meglio, e ad esser cittadini responsabili e politici migliori. Fosse anche solo per questo, va difesa e preservata come un bene prezioso.

Alfonso Antoniozzi

27 gennaio, 2011 - 17.31