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Viterbo - Prodi e Panebianco analizzano la situazione

Le proposte della sinistra buone ma non credibili

di di Oreste Massolo
<p>Oreste Massolo</p>

Oreste Massolo

- Due articoli di fondo, apparsi a fine, anno nello stesso giorno su due importanti quotidiani, uno firmato da Romano Prodi per Il Messaggero e l’altro scritto dal Angelo Panebianco per il Corriere della sera, si prestano ad alcune riflessioni.

Sono due articoli sicuramente diversi – e non potrebbe essere altrimenti – ma che, tuttavia, convergono in alcuni punti.

Prodi riflette sul fatto che in Europa, in un momento in cui le “differenze tra ricchi e poveri aumentano in modo inaccettabile e le giovani generazioni si sentono emarginate da un’economia di mercato che, in teoria, dovrebbe preparare loro uno spazio crescente, ma che, in pratica, non ne prepara nessuno” i partiti di sinistra o di centro sinistra perdono sistematicamente le elezioni.

Perché avviene questo? E’ l’interrogativo sollevato.

Limitandosi solo al caso italiano Prodi sostiene che i cittadini credono “nelle diagnosi dei riformisti, ma non credono nelle loro ricette “perché scarsamente credibili, scritte più con il bilancino per non scontentare nessuno, che per cambiare la società”.

Il risultato è una proposta alternativa inefficace nei confronti dell’attuale maggioranza che pure è ritenuta ampiamente inadeguata all?interno del Paese e non credibile all’estero.

Sarebbe invece necessario un “riformismo vigoroso”, possibile, tuttavia, perché attuato, a suo tempo, da Schroeder in Germania.

“Lo stare fermi -è il commento amaro del Professore – porta non solo al ripetersi delle sconfitte, ma anche ad una probabile rivolta dei giovani”.

Angelo Panebianco ritiene che la “sinistra dovrebbe porsi la domanda: perché nemmeno la forte disillusione di tanti italiani nei confronti di Berlusconi e il fatto che ormai nessuno creda alla rivoluzione liberale, sempre promessa e mai attuata, spostano a sinistra l’asse politico del paese?

Una delle ragioni potrebbe essere che Berlusconi è considerato il male minore e l’altra ragione potrebbe consistere nel fatto che lo stare fermi della sinistra condannerebbe il Paese alla decadenza economica e sociale.

La difesa dell’esistente è stata la scelta della sinistra ne è derivata una paurosa mancanza di idee nuove sul che fare, una mancanza di idee che ha fatto subito appassire la rosa appena sbocciata del Partito Democratico.

Nelle tesi del prof Panebianco – e in parte anche in alcune affermazioni di Prodi – vi sono delle forzature.

Ad esempio la riforma della Costituzione, elaborata a suo tempo dalla Commissione bicamerale presieduta da Dalema e fatta fallire all’ultimo minuto dal no di Berlusconi, la privatizzazione dell’Enel, le lenzuolate di Bersani non sono state contro l’esistente?

Per altro verso la riforma dell’Università elaborata dal Pd (consultabile sul sito web) non è alternativa e più innovativa nei confronti di quanto approvato in questi giorni dal Parlamento?

E si potrebbe continuare. Al di là, comunque, di tali esasperazioni le analisi dei due editorialisti coincidono quando sostengono che il Pd è fermo: Prodi parla della mancanza di un riformismo vigoroso; Panebianco di una paurosa mancanza di idee nuove sul che fare.

Probabilmente sta qui, allora, un limite del Pd nel senso che le proposte non vivono nella società, non guadagnano spazio sui media, non trovano commentatori autorevoli.

Proposte considerate deboli? Può darsi, ma vi è qualcosa in più che non dovrebbe essere ignorato.

Assistiamo,infatti, in tutta Europa ad una crisi della socialdemocrazia che ha, invece, segnato con la sua originale impronta, fondata sulla cittadinanza legata agli istituti del Welfar-State, la società occidentale.

Non a caso il prof Giuseppe Berta, docente di Storia Conemporanea all’Università Bocconi di Milano, scrive nel saggio “L’eclissi della socialdemocrazia” (Il Mulino) che la sinistra europea ha perso se stessa negli anni delle grandi promesse della globalizzazione; si è persa quando non ha più avuto la bussola di una moderna uguaglianza sociale e ha lasciato che il ventaglio delle disuguaglianze si dispiegasse.

Stanno qui, credo, le difficoltà nell’avanzare risposte efficaci nei confronti dei guasti derivati dalla globalizzazione, dalla delocalizzazione, da una economia finanziaria cartacea non più ancorata alla produzione e al lavoro.

La ricchezza possibile per tanti ed una crescita economica che sembrava inarrestabile ed una conseguente idealizzazione di un mercato che tutto risolve hanno abbagliato, per troppo tempo, anche la sinistra e il centro sinistra finendo con l’offuscare i processi reali che avvenivano nella società, a non vedere, per tanto, distorsioni e nuove disparità.

Tutto questo su un piano generale. Con riferimento al nostro Paese va aggiunta un’ulteriore constatazione che certamente ha il suo notevole peso.

Dopo le due cadute del Governo Prodi, una ad opera di Bertinotti e l’altra per l’azione di logoramento dei centristi (leggi Mastella e Dini) e per le divisioni paralizzanti all’interno della composita maggioranza è davvero difficile ritenere che lo schieramento di centro sinistra, comunque formato, possa, in breve spazio di tempo, riconquistare fiducia e credibilità.

Occorre, ne sono convinto, un impegnativo e diffuso lavoro tra la popolazione che solo ora si comincia a fare. Dire la verità sulla reale situazione economica, sul peso e sulle conseguenze di un crescente ed abnorme debito pubblico, illustrare un programma di governo con indicazioni e proposte percorribili, non demagogiche: di tutto questo c’è un urgente bisogno.

Ecco perché le elezioni subito non sono un rimedio, come in tanti ritengono.
Vedrebbero, come probabile esito, Berlusconi, seppure in calo di consensi, nuovo Presidente del Consiglio addirittura per sette anni!

Davvero un bel risultato.

Oreste Massolo

8 gennaio, 2011 - 19.55