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L’opinione di un candido democristiano

Furbi in autosospensione

di Renzo Trappolini
<p>Renzo Trappolini</p>

Renzo Trappolini

- Per quanto si cerchi nei manuali di diritto amministrativo, l’autosospensione non fa parte delle iniziative che il pubblico amministratore può prendere con effetti definiti per la cosa pubblica.

Eppure, è la parola più in voga oggi e i telegiornali ce ne danno l’annuncio come fossero la gazzetta ufficiale: l’onorevole Papa alla notizia che lo arresteranno si è “autosospeso”, ugualmente il senatore Tedesco di Puglia, il senatore Vizzini per indagini di mafia, l’onorevole Milanese per tante cose e via elencando (Filippo Penati a Milano prima si autosospende e po lo convincono a dimettersi da una vice presidenza restando, però, a libro paga della Regione come consigliere).

Se li indagano si autosospendono: da che? Dal partito che li ha nominati e che così spera di purificarsi dell’errore fatto indicandoli, dalle commissioni, dalle presidenze …

Insomma, i magistrati li indiziano e loro, autosospendosi, mettono in frigorifero – per conservarli – solo gli optionals conseguenti alla qualità di consigliere, deputato, senatore, ministro, cui non rinunciano.

Non si dimettono e, così, restano membri della casta politica a pieno titolo, cioè a stipendio pieno ed annessi rimborsi, benefit e immunità varie.

Eppure, ci si poteva aspettare qualcosa di diverso dai politici del dopo tangentopoli, quando sembrava fosse nata una seconda repubblica nella quale il solo sospetto di malaffare avrebbe comportato dimissioni.

Le quali, a ben guardare si davano e come nella prima repubblica, quando la parola autosospensione non era nel gergo.

Perfino dai capi dello stato: Cossiga, che il PCI voleva incriminare perché picconando scopriva le magagne dei politici e Giovanni Leone accusato (ingiustamente) di essere l’Antelope Cobbler delle bustarelle sugli aerei militari. Sospettato, si dimise, ma gli stessi suoi calunniatori, dal PCI a Pannella, andarono a scusarsi solennemente con lui quando compì 90 anni.

Per non dire del primo presidente, Enrico De Nicola, l’uomo dalle dimissioni facili di fronte al benché minimo mal pensiero. E Attilio Piccioni, ministro degli esteri e in pista per succedere a De Gasperi, che si dimise perché avevano accusato(ingiustamente) suo figlio Piero dell’assassinio di Wilma Montesi dopo una festa sulla spiaggia di Torvajanica. Carlo Donat Cattin, quando gli imputarono il favoreggiamento del figlio Marco, terrorista rosso. Vito Lattanzio, che lasciò il ministero della difesa quando il criminale nazista Kappler fuggì dall’ospedale militare del Celio. I ministri del tempo di tangentopoli dimissionari non appena ricevevano un avviso di garanzia: Martelli, Pomicino, De Lorenzo, Reviglio…

Oltre quelli che lasciarono il governo Ciampi quando le camere non autorizzarono il processo a Craxi e i cinque della sinistra democristiana che si dimisero da ministri per non avallare la legge Mammì che concedeva a Berlusconi tre reti televisive.

Dimissioni, non autosospensioni come quelle dei furbi, oggi.

Renzo Trappolini

27 luglio, 2011 - 15.36