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Quando muore un giornalista…

<p>Giuseppe D'Avanzo</p> [1]

Giuseppe D'Avanzo

D’Avanzo morto tra le braccia del collega Bolzoni.

Gli è stato accanto per venticinque anni. Fino all’ultima pedalata. Quando un infarto ha strappato Giuseppe D’Avanzo alla vita e al giornalismo [2].

Attilio Bolzoni [3], il collega e compagno di tante battaglie e inchieste, era con lui. Anche e soprattutto sabato mattina a Calcata. In un giorno qualunque che, per D’Avanzo, è stato l’ultimo.

Per il suo amico Peppe, Bolzoni ha scritto, su Repubblica, uno splendido ricordo. Una pagina piena della loro vita passata a scrivere di inchieste. Tra malapolitica, mafia e guerre sporche. Materie scomode e difficili. Ma a Peppe piaceva così. “Viveva per quello, Peppe – scrive Bolzoni -. Era giornalista. Un vero giornalista. Con il carattere che aveva, la sua lealtà, il suo metodo – non a caso si era laureato in filosofia – era il migliore di tutti noi”.

Un cronista con una marcia in più. Capace di arrivare dove gli altri suoi colleghi neppure si avventuravano. Per paura, scarse capacità. O semplicemente perché non avevano neppure un decimo della sua determinazione.

Bolzoni lo sa. Lo ha visto con i suoi occhi quel D’Avanzo che andava dritto al punto, senza perdere mai di vista l’obiettivo. “La palla – scrive Bolzoni – dobbiamo seguire sempre la palla”, mi diceva scherzando quando io o altri colleghi ci concedevamo una piccola distrazione”.

Doti che non erano balzate soltanto agli occhi dei giornalisti. Anche qualcun altro si era accorto della professionalità di D’Avanzo: il magistrato Giovanni Falcone, “uno che con i giornalisti non parlava molto”, precisa Bolzoni. Ma con D’Avanzo sì, perché persino “il giudice istruttore più famoso e più guardingo d’Italia era rimasto affascinato da Peppe”. Un incontro che ha del magico, quello tra lo storico giudice e la firma di punta di Repubblica. L’incontro tra due uomini dalla spiccata intelligenza e con un fiuto sopraffino. Qualità che sia D’Avanzo che Falcone misero fino all’ultimo al servizio del proprio mestiere che era sempre, per entrambi, ricerca di verità. Nella giustizia come nel giornalismo.

Bolzoni non può dimenticare il suo amico Peppe. L’ultima persona che D’Avanzo ha chiamato, prima di accasciarsi a terra senza vita, è stato lui, “Attilio”. Quell’Attilio rimasto al suo fianco per più di venticinque anni e che lo ha visto sempre in prima linea. Perennemente in trincea, con tutta la sua esperienza e preparazione, perché Peppe, in un modo o nell’altro, era sempre quello che ne sapeva più di tutti. Persino Giorgio Bocca, ricorda Bolzoni, alle udienze del processo ad Andreotti all’aula bunker, “lo guardava stupefatto e gli chiedeva: “Ma tu, come le sai tutte queste cose?”. Peppe si lisciava il baffo folto e cominciava a raccontare i retroscena dell’ultimo mistero palermitano. Il vecchio Bocca ogni tanto scriveva qualcosa su un quaderno e poi a cena lo tormentava con le domande. Aveva fonti di primissima mano. Ed era autorevole con le sue fonti”.

Tra i suoi scoop memorabili ci sono il rapimento di Abu Omar, Gladio e Telekom Serbia, il Nigergate, Ruby e le dieci domande a Berlusconi su Noemi Letizia. Pagine di un giornalista che era come una roccia. E al quale questa Italia avrebbe dato ancora molto da scrivere. “Ma Peppe ieri mattina se n’è andato – conclude il ricordo di Bolzoni -, sulla strada che ancora una volta facevamo insieme per raggiungere una montagna dove non eravamo stati mai”.