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Alleanze, i dilemmi del Pd

Valerio De Nardo

La discussione sulle alleanze del Pd diventa ovviamente centrale in vista di una scadenza elettorale sempre più ravvicinata.

In tal senso la consultazione regionale in Molise ha fornito alcune indicazioni, ma non si possono certamente trascurare altri elementi che pure sono ben chiari in campo.

In primo luogo vorrei ricordare che l’analisi dei risultati politici non si fa con l’algebra, ma certo essa può aiutare.

Perché dunque dire che il centrosinistra ha perso in Molise per colpa dei “grillini”? Il vosto disgiunto, a mio parere segnala piuttosto che una buona parte degli elettori ha voluto manifestare liberamente il proprio dissenso verso una candidatura troppo spostata a destra, quella di Frattura (nomen omen?), se pure individuata attraverso il percorso delle primarie.

L’algebra ci dice che, anche in queste condizioni, in una regione tendenzialmente di destra, la coalizione di centrosinistra perde di poco contro un’alleanza con dentro l’Udc. Dunque emerge un elemento che, se pure segna una sconfitta elettorale, indica però l’esistenza della forza intrinseca di una proposta politica omogenea.

Ma l’elemento di fondo su cui riflettere è che Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini sono dichiaratamente impegnati a costruire una nuova forza politica chiaramente collocata sul versante del centrodestra. Lo hanno nettamente ribadito proprio in questi giorni nella convention del terzo polo tenutasi a Lecce.

Dunque appare evidente che l’alleanza che il Pd può stringere con l’Udc deve necessariamente avere un carattere transitorio, di passaggio ad una nuova fase politica, essendo invece preclusa la natura strategica di un possibile accordo tra forze che intendono dislocarsi sulle parti opposte dello schieramento politico-parlamentare.

Tale evidenza è confermata peraltro da una concezione differente del confronto democratico, tra un Pd impegnato a sostenere le ragioni del bipolarismo versus una Udc che dichiara il bipolarismo morto.

Mi pare auspicabile oggi una grande alleanza in grado di tenere insieme parti tra loro diverse dello scacchiere politico per ricostruire i fondamenti costituzionali, economici, culturali e persino etici del nostro Paese partendo dalla situazione di disfacimento e regressione nella quale è precipitato. Non ritengo si tratti però di una necessità da sostenere a tutti i costi.

Soprattutto credo che sbaglierebbe i conti (e qui torniamo all’algebra) chi nel Pd pensasse di sacrificare sull’altare di un accordo con Casini quello con l’Italia dei Valori e con Sinistra Ecologia Libertà. L’intendenza non seguirà: gli elettori hanno imparato a scegliere e i sondaggi dicono chiaramente che una prospettiva del genere sarebbe un semplice suicidio del Pd.

Per questo la definizione di un programma condiviso nel perimetro del nuovo Ulivo e la scelta della leadership mediante le elezioni primarie appare un elemento ineludibile, di fronte ad una precisa richiesta che è emersa nel Paese. Dopo dovrebbe aprirsi il confronto con l’Udc.

Basterebbe ricordare le elezioni comunali di Bologna e Torino. Ma ancor più chiaramente hanno segnato il tracciato quelle di Milano e di Cagliari, dove due gentili estremisti come Giuliano Pisapia e Massimo Zedda sono risultati graditi all’elettorato, che li ha scelti come sindaci senza grandi esitazioni. Per non parlare di Napoli, dove De Magistris ha dato una sonante lezione a tutti i professori del voto moderato.

Certo a livello locale giocano profili civici che non consentono di sovrapporre quelle vicende con lo scenario nazionale ed è quindi necessario affrontare le situazioni con capacità di discernimento per ogni singola realtà. Come a Viterbo dove le forze del terzo polo annunciano un percorso comune e dichiaratamente alternativo al “fallimento” di Pdl e Pd.

Personalmente mi augurerei che il Pd scegliesse senza esitazioni di perseguire la strategia dei cerchi concentrici proposta all’ultimo congresso da Bersani: con il Pd al centro, il nuovo Ulivo intorno ed una più ampia unità delle forze democratiche in un campo più esteso.

Anche perché la “foto di Vasto”, l’alleanza rappresentata dai leader di Pd, Sel e Idv in prospettiva può dare vita ad una grande forza politica unitaria e plurale, capace di raccogliere le grandi ispirazioni politico-culturali che hanno segnato la storia del centrosinistra negli ultimi decenni.

Opera che sicuramente non potrà essere compiuta da una classe dirigente la quale dovrebbe serenamente accettare di passare la mano, di far crescere una nuova leva con lo sguardo rivolto davvero al futuro, il cui bagaglio non sia appesantito da un fardello troppo pesante, la cui immagine non appaia più così opaca come quella di alcuni dei protagonisti di una stagione ormai passata.

Ma soprattutto, prima di ogni altro elemento è necessario che il Pd esca dal guado politicista e ricerchi una alleanza con i cittadini. Poche ma nette idee sulle questioni più sentite nel Paese: a partire dalla questione dei costi della politica e della “casta”, senza demagogie, ma anche senza timidezze, per rilanciare la politica come spirito di servizio.

Ma se questo è un terreno che trova d’accordo trasversalmente tutti i cittadini, dirimente diventa affrontare con vigore e con nettezza la questione dei costi sociali della crisi, facendo pagare sul serio chi non lo ha mai fatto, riformando il welfare ma difendendo i servizi, salvaguardando i beni comuni, aprendo una grande stagione di liberalizzazioni, a partire dal mondo delle professioni oggi troppo spesso precluse ai giovani, puntando con decisione su ricerca, formazione e cultura come risorse strategiche del Paese.

Per fare tutto ciò il Pd e le altre forze del centrosinistra devono avere il coraggio e la capacità di scontentare qualcuno per pensare alle alleanze non solo con le forze più dinamiche del Paese, ma anche con quelli che tirano in silenzio la carretta e rispettano le regole, con il ceto medio impoverito, con gli indignati e i precari, con tutti quelli che in questa stagione di crisi si sentono come nei versi di Ungaretti: si sta come/d’autunno/sugli alberi/ le foglie.