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Il sottoscala di Sassi

Voglio mori’ democristiano…

di Arnaldo Sassi

Arnaldo Sassi

- Moriremo democristiani? Sembra proprio di sì. E forse è pure meglio.

E se lo dice uno che in gioventù pensava che bisognasse cambiare radicalmente un Paese dove imperava il clientelismo, in nome di una maggiore e più proficua giustizia sociale, che tenesse conto soprattutto dei più deboli, non è che il mondo si sia rivoltato. O forse sì. Certo è che, se la coerenza è la virtù degli imbecilli, ognuno di noi ha il dovere di guardarsi intorno e di analizzare a fondo quello che è accaduto nell’ultimo ventennio: una vera e propria rivoluzione.

Economica, innanzi tutto. Dettata dalla globalizzazione, che ha stravolto completamente tutte le leggi del mercato, e con la quale oggi ancora ci si confronta a fatica. Perché, se un jeans cinese costa 5 euro e uno italiano ne costa 50, c’è poco da fare. Chi produce il secondo è destinato a chiudere bottega.

Culturale, in secondo luogo. Dettata dal passaggio dal proporzionale al maggioritario nella politica. Ricordate i primi anni ’90. Tutti pensavano (anzi, pensavamo) che la fine degli “inciuci” avrebbe dato all’Italia quella marcia in più che le avrebbe consentito di decollare e di volare. Invece è successo l’esatto contrario. Per vari motivi.

Il primo è sicuramente di natura genetica. Noi siamo neolatini e non anglosassoni. Quindi, facciamo fatica a considerare il nostro antagonista un non nemico, come fanno in Inghilterra o negli Usa. Per noi l’avversario politico è l’uomo da abbattere, non colui con cui mettere in piedi un confronto di idee attraverso il quale arrivare a soluzioni utili per la collettività. Basta ripercorrere il film di questi ultimi vent’anni per rendersene conto.

Il secondo è che siamo il Paese delle lobby, anzi delle corporazioni. Bisogna cambiare? Siamo tutti d’accordo. Ma cambia tu, che a me viene da ridere. Nel senso che tutti i cambiamenti vanno bene quando riguardano gli altri e non noi stessi. Altrimenti è subito rivolta.

Il terzo è che, finita l’epoca delle ideologie (forse da rimpiangere) s’è creato un gran minestrone dove la politica è diventata non sinonimo di ideali, ma di convenienze, generando una classe politica modesta, incapace, ma soprattutto inaffidabile (ricordate il nuovo che avanza? Oggi fa venire i brividi).

A tale proposito è illuminante l’intervista a Giuliano Urbani (uno dei fondatori di Forza Italia) pubblicata nei giorni scorsi dal Messaggero. Sentite cosa dice: “Sono venute fuori le corporazioni, e le corporazioni hanno messo ostacoli di tutti i generi. Pensi agli imprenditori. Ho cercato personalmente di candidarli nei collegi uninominali del Mattarellum e mi sono sentito rispondere: non affannarti troppo, basta Berlusconi: se vince lui lo fa per tutti, se perde è lui solo a farlo. Un ragionamento all’insegna del cinismo e della pavidità più incredibili”. E ancora: “La classe politica locale è stata di una mediocrità pazzesca. Non ha selezionato i migliori, sono scappati tutti ed è rimasta una strana fauna fatta di affarismo e di clientele”.

In questo contesta s’è inserito Silvio Berlusconi e il berlusconismo. Che è riuscito (bravissimo a farlo) a incarnare l’uomo dei sogni. Ma, osannato da mezza Italia, ha commesso un errore strategico fondamentale, che i vecchi democristiani (cito un solo nome: Aldo Moro) non avrebbero mai fatto. Quello di demonizzare – e non di tentare di coinvolgere – l’altra mezza Italia, quella che non aveva votato per lui. Eppure ha avuto tantissime occasioni per farlo. Aiutato in questi anni da un centrosinistra che s’è sempre dimostrato incapace di proporre un’alternativa di governo accettabile.

Invece, ha preferito sempre mostrare i muscoli (facendo sempre inviperire chi stava dall’altra parte) creandosi costantemente nemici da combattere (la sinistra, la magistratura, la stampa, l’Europa e via dicendo) utili per restare in sella. Tralasciando così di metter mano a quella rivoluzione liberare sbandierata a più non posso nel corso delle varie campagne elettorali.

Gli è andata bene finché il Paese ha avuto la pancia piena o quasi. Ma quando è arrivata la crisi ha dovuto alzare bandiera bianca, perché a quel punto quel suo modo di governare non funzionava più.

E adesso? SuperMario Monti può essere l’àncora di salvezza? Sì, a patto che si cambi subito mentalità. Abbandonando lo scontro e tornando al confronto. Tralasciando gli interessi di parte e mettendo in primo piano quelli di tutti. Insomma, per salvarci, dobbiamo morire democristiani.

Arnaldo Sassi

 

12 novembre, 2011 - 17.23