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Così è nata la sanità del… pronto soccorso

Renzo Trappolini

- La situazione della sanità ha una madre, anzi una nonna, quella di tutte le leggi che, quasi ad ogni cambiar di governo, sono state fatte per aggiustare i danni di quelle abrogate.

E’ la riforma del 1978, nata dalla non del tutto naturale (allora) congiunzione della Dc col Pci nel letto a una piazza del monocolore democristiano denominato di “unità nazionale”.

Furono cancellate le mutue (che funzionavano) e rottamati i medici condotti, quelli che tutto e tutti curavano e a ogni ora.

Si diceva, infatti, che la salute doveva essere “curata” prima di perderla, prima cioè di correre al pronto soccorso. In sostanza, con le guardie mediche, i medici di base e gli specialisti sul territorio. Per gli ospedali, un futuro di alta specializzazione e soggiorni meglio che in albergo. Per lo stato e i cittadini, sanità democratica gestita e vigilata dai politici con l’obiettivo dell’efficienza: prevenire per curare meglio, spendendo meno.

Si credeva molto in questa riforma (come in altre, per esempio il trasporto pubblico al posto di Garbini) e se ne andavano a spiegare le ragioni in comizi e assemblee.

Una domenica mattina, a Orte, in una gremita sala Proba Falconia, quando si aprì il dibattito, un signore distinto pacatamente raccontò: ”Sono il medico condotto di Ore Scalo. Ieri sera, sabato, alle 19,30 sono andato a trovare una signora che avevo già visitato nel pomeriggio perché sembrava dovesse partorire da un momento all’altro. Il parto, però, non era maturo e, dopo cena, son tornato da lei, come pure, stamattina, domenica, appena alzato. Ci sono rimasto fino a quando è nato un bel bambino”.

Rivolto, poi, al tavolo dei relatori, il dottor Orlandi (questo il nome de medico condotto, ancora nel cuore dei concittadini) avvertì: ” Quando ci sarà questa riforma di cui parlate e chiameranno il medico alle 19,30, mezz’ora prima, cioè, di essere sostituito dalla guardia medica, naturale che la chiamata passerà a questa e il giorno dopo, prima che il nuovo medico della domenica intervenga, passeranno un po’ d’ore. Alla signora non resterà che correre al pronto soccorso dell’ospedale, dove, però, troverà tanti altri che avrebbero potuto essere assistiti a casa propria”.

Difficile dimenticare questo apologo così profetico di fronte alla situazione dei pronto soccorsi oggi, allo spreco di moneta non curante (ma talora coadiuvante la politica) e leggendo che nel Lazio quasi il 70 per cento di chi va al pronto soccorso viene rimandato a casa. Quelli che per la riforma del ‘78 non avrebbero mai dovuto aspettare in barella nei corridoi dell’ospedale.

La generazione dei politici e sindacalisti di quegli anni tutto poteva immaginare fuorché, per garantire la salute, il democratico servizio sanitario fosse affidato ai manager ( tagliatori di teste e fondi, apolitici ma amici dei partiti che li indicano) e che, addirittura, per Roma si dovesse far ricorso a medici e attrezzature dell’esercito.

Renzo Trappolini