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Media e pubblicità esplodono su Internet

Milano - Il mondo dell’informazione e dell’intrattenimento cambia. E a guadagnarci e a crescere sono i New media e il New Internet, soprattutto dal punto di vista degli investimenti pubblicitari.

Questi sono i dati dell’Osservatorio New Media e New internet del Politecnico di Milano.

Dalle ricerche si evince che il mercato generale dei media è in calo di 5 punti rispetto al 2012 con 15,2 miliardi di euro l’anno. Un calo del 17% degli introiti rispetto ale 2008 quando si viaggiava su cifre come 18,4 miliardi di euro.

In calo la stampa con – 13%, la tv con – 4% e la radio con – 9%.

Ma lo stesso non si può dire per il New internet che, invece, ha avuto un incremento pari al 73%.

“Il giro di affari dei media sul Web nel suo complesso – spiega Andrea Rangone, responsabile scientifico dell’Osservatorio del Politecnico di Mialno -, dal 2008 è cresciuto senza mai subire alcuna battuta di arresto. In cinque anni ha duplicato il loro valore, passando da un’incidenza sul totale del mercato del 5% al 12% di oggi. E prevediamo che tra nel 2018 possa arrivare a pesare oltre il 20%”.

Si parla di 600 milioni di euro per la pubblicità su New Internet.

“La pubblicità nei video online, social network, applicazioni, smartphone e tablet nel 2013 ha superato i 600 milioni di euro – sottolinea Marta Valsecchi, dell’Osservatorio New Media & New Internet -. Mentre la restante componente dei media legati al Web, che è composta principalmente dai banner pubblicitari sui siti, dall’email marketing, dalla pubblicità sui motori di ricerca, mostra un incremento di due punti percentuali. Il peso del New internet quindi sul totale mercato dei media su Internet passa dal 22% al 32%”.

La pubblicità sui social network nel 2013 è cresciuta fino ad arrivare al 75%, e pesa quasi il 10% sulla totale del web.

Un aumento sicuramente favorito dal diffondersi di smatphone e tablet grazie ai quali circa 27 milioni di utenti unici al mese risultano attivi. L’82%, invece, gli utenti web in assoluto.

Al primo posto c’è Facebook con il 76% degli utenti internet iscritti, segue Google+ con il 49%, Twitter con il 36%, Linkedin con il 29%, Instagram con il 28%, Pinterest con il 13%, Tublr e Foursquare con il 10%.

In Italia la presenza di dispositivi smartphone è cresciuta del 24% tra il 2012 e il 2013 per un totale di 37 milioni di apparecchi.

E sono già 370 le applicazioni di molte testate disponibili su questi dispositivi. C’è un grande sviluppo della pubblicità che arriva a + 174%: questa ha fatto sì che il mercato dei media sugli smartphone aumentasse del 167%.

In grande crescita anche i ricavi “pay” che salgono a quota + 82%, grazie ad alcuni servizi che propongono musica in streaming ed eventi in diretta video.

Tra il 2012 e il 2013 sono aumentati anche i tablet, toccando quota 7,5 milioni, con più di un terzo del totale delle testate giornalistiche che hanno creato un applicazione apposita.

Il mercato app in generale va benissimo. Solo nell’ultimo anno sono state 1,2 miliardi quelle scaricate. Ogni utente ne avrebbe in media 33 scaricate sullo smartphone, 14 utilizzate nell’ultimo mese e 5 usate nell’ultimo giorno. Dati simili per i tablet: sarebbero 32 le app scaricate, 13 utilizzate nell’ultimo mese e 5 nell’ultimo giorno.

Un mercato, quindi, in crescita del 120% rispetto al 2012.

Infine ci sono le smart tv che nel 2013 hanno superato quota 4 milioni. Il mercato è in crescita dell’85%. In questa categoria resta in cima alla classifica Netflix.

“Questi segnali ci stanno dicendo è che i nuovi ricavi provenienti da app e social network non ripagano le perdite delle vecchie fonti di reddito della carta stampata o della tv tradizionale – spiega Andrea Rangone -. L’unica strada possibile quindi è diversificare: guardare alle competenze che si posseggono e fare forza su quelle.

Un sito news molto frequentato è un volano straordinario. Si possono proporre servizi a pagamento legati all’ecommerce e molto altro ancora.Perché un editore ad esempio non dovrebbe poter pubblicare un gioco come Fruit Ninja? Perché non sviluppare una pluralità di servizi, non tradizionali, attorno a un brand? E se non si ha il know-how basta fare accordi con terze parti.

Open innovation significa questo – conclude -: aprirsi e attivare sinergie con l’esterno. Sperando che uno più uno non faccia due, ma tre o addirittura cinque”.