L’Iran di Twitter e degli ayatollah
Sulle riviste popolari degli anni ’60 e ’70 campeggiavano le vicende della moglie ripudiata dello Scià, la bellissima Soraya, e di quella che gli aveva poi dato la discendenza, Farah Diba. Per questo l’Iran fu conosciuto da noi per le sue principesse piuttosto che per la sua storia politica ed economica. Ciò fino a quando Reza Pahlavi fu spodestato e i paesi più sviluppati sottoposti ad un durissimo “shock petrolifero”.
Il giudizio storico sulla vicenda del 1979 e l’avvento dei Khomeinisti al potere non può essere fatto che di luci ed ombre (anche sull’atteggiamento di qualche potenza occidentale), ma non vi è dubbio che la “rivoluzione iraniana” è sfociata ben presto in un regime tirannico e oppressivo.
Pochi anni fa l’esperienza del governo Kathami ha dimostrato che anche un timido “riformismo democratico” non può affermarsi dall’interno di quella teocrazia, la quale, comunque, ha per ora la maggioranza della popolazione dalla sua parte.
Papa Benedetto XVI ama ripetere che «sono le minoranze creative che fanno la storia». In questi giorni in Iran stiamo forse assistendo proprio all’esprimersi di una di tali minoranze. Anche le lunghe barbe degli ayatollah devono fare i conti con un vento nuovo che soffia impetuoso.
Sono soprattutto i giovani, con i loro desideri e quel po’ di incoscienza che diventa coraggio ad animare la rivolta contro l’autocrazia islamica, un vero e proprio regime religioso che, sotto l’incalzare della protesta, rischia di divenire un regime militare in piena regola.
I cellulari, Twitter, una comunicazione istantanea che non si riesce a controllare e soffocare sono le principali armi di questi rivoltosi, che ormai non contestano più soltanto i risultati delle ultime elezioni, ma mettono in discussione lo stesso fondamento religioso dello Stato. In un certo senso la rivolta sta andando oltre il volere dei suoi stessi capi.
Basta guardare i volti delle ragazze sotto il velo (qualcuna addirittura a capo scoperto) nelle manifestazioni per capire come i giovani iraniani abituati ad usare internet vivano nella contemporaneità della globalizzazione.
L’Iran è uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio e ciò lo renderà ancora per qualche decennio un fulcro degli equilibri internazionali. L’Italia, dal canto suo, è un partner commerciale di primo piano per Teheran.
La netta caratterizzazione sciita della nazione iraniana, in un mondo islamico a prevalenza sunnita, e il profondo antisionismo animato dal clero e dal governo, che, intanto, rivendica il proprio diritto a produrre energia nucleare (e con essa, in potenza, armamenti atomici), sono elementi di forte tensione dell’area mediorientale.
Per tutto questo, al di là della sensibilità che ciascuno di noi può avere, quel che succede in Iran non è affatto indifferente per il nostro Paese.
Così, alzando per un momento lo sguardo dalle vicenduole nostrane, sempre più deprimenti e demotivanti, i migliori auguri per il 2010 dovremmo forse rivolgerli proprio alle donne ed agli uomini che nella Persia delle mille e una notte fanno viaggiare la loro ansia di libertà sui display dei cellulari e gli schermi dei computer di tutto il mondo, facendoci respirare un’aria che sa di libertà e fraternità.
Scendono in piazza sfidando un potere intransigente e feroce e rappresentano, con il colore verde che li contraddistingue, una delle poche speranze di cambiamento in grado caratterizzare questo nuovo anno.
Valerio De Nardo