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Ingrao, un ostinato comunista

<p>Renzo Trappolini</p>

Renzo Trappolini

Grazie a Tusciaweb che riserva un angoletto alla memoria (non alla nostalgia) di quelli che una volta venivano definiti “sporchi” ed erano i comunisti e di quelli che si autoproclamavano “candidi” come il loro inno “Biancofiore”, i democristiani.

Erano milioni e negli anni novanta, o giù di lì, decisero di dissolversi. Della Dc fu chiesta la liquidazione e certi dirigenti malinconici e un po’ frustrati (è stato detto che la sinistra dc ha sempre vagheggiato di morire comunista) ne dichiararono il fallimento.

Per il Pci, invece, ci fu un’operazione di ingegneria commerciale: cambio del marchio e ricerca di nuovi partner. Ne venne fuori, dopo vari passaggi, il Pd, col segretario, oggi, che viene dal Pci, ma verrà ricordato soprattutto per le “lenzuolate” di liberalizzazioni (il contrario delle comunistizzazioni) che, da ministro, si era – senza molto successo – impegnato a fare.

Comunque, molti “sporchi” rimasero tali, abbandonando la fedina comunista e tanti “candidi ” andarono a sporcarsi.

Ci hanno poi pensato altri, cioè Silvio Berlusconi a mantenere in vita il “pericolo comunista” (come gli Americani con l’embargo infinito contro Cuba) e a dirsi erede di De Gasperi, mentre la Lega, nell’ex democristianissimo veneto, ha organizzato la presenza sul territorio come facevano, allora, i dorotei di Rumor e Bisaglia.

Tutto questo per dire che dopo l’articolo dello “sporco comunista” Valerio De Nardo sui novantacinque anni di Pietro Ingrao, ci si poteva aspettare da parte di quelli che una volta erano comunisti, con o senza baffi, un ricordo, un approfondimento, una condivisione o un dissenso sul personaggio e sugli anni in cui fu fatta l’Italia repubblicana, democratica ed anche unita.

Il tempo di Pietro Ingrao, poeta, giornalista, ma soprattutto padre della sinistra italiana e sacerdote del dissenso. Un uomo con i calli dell’ostinazione comunista che non ha nascosto dopo il crollo dell’Urss, perché, fra i primi, aveva già abbandonato il mito della violenza per la conquista del potere e con esso anche Stalin e almeno un po’ di Marx e Lenin.

95 anni tutti comunisti, vissuti così nel pubblico come nel privato di una famiglia di ascendenze mazziniane e garibaldine, una moglie comunista e appassionata come lui, Laura dal cognome simbolo della sinistra, Lombardo Radice. Comunisti i figli e gli amici, perché gli affetti per quelle generazioni non potevano prescindere dalla politica. Un mondo che non si capisce più perché, oggi, della politica è rimasto il nome ma non la sostanza e soprattutto la fede (sì la fede).

Direttore de l’Unità, deputato e primo presidente comunista della Camera dei deputati, con Andreotti capo del Governo – ambedue parlamentari del Lazio, uno ciociaro, l’altro pontino – tentarono la strada della terza fase morotea nella storia d’Italia (il superamento dei muri e la democrazia dell’alternanza).
Tanto lontano dall’aspirazione rivoluzionaria del dopoguerra quando “sbagliammo (anche Togliatti) a dare per sicura la vittoria del Fronte popolare” il 18 aprile 1948.

Quei giorni, al termine dello spoglio elettorale, al Viminale, proprio il conterraneo rivale Giulio Andreotti, che era il più stretto collaboratore di De Gasperi, consegnò al redattore de l’Unità un foglietto con dei numeri dicendo: “portalo al tuo direttore”, cioè a Pietro Ingrao, il quale, quando lo lesse, scoprì che nel suo paese, Lenola in provincia di Frosinone, su 3000 abitanti solo 17 avevano votato comunista.

Renzo Trappolini