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Ben scavato vecchia talpa!

<p>Valerio De Nardo</p>

Valerio De Nardo

- Due osservatori della società che mi piace molto leggere, Michele Serra e Stefano Gramellini, hanno entrambi tratto dai risultati delle recenti elezioni amministrative la conclusione che quei dati elettorali traducono la fine degli anni ’80.

Avendo in quel decennio vissuto adolescenza e gioventù ricordo bene l’affermazione di quegli elementi valoriali che poi, in fondo, venivano sagacemente raccolti, miscelati e rivenduti nelle televisioni commerciali dell’imprenditore milanese Silvio Berlusconi, principalmente attraverso la pubblicità (ricordate il referendum sugli spot? “Non si interrompe un’emozione”…).

Non erano certo anni a versione univoca. Il “movimento” era stato dissolto dal “riflusso al privato” generato anche da massicce dosi di eroina e dal delirio terroristico. Ma non per questo l’opposizione alla installazione dei missili Cruise a Comiso, i movimenti antimafia, la “pantera” universitaria mancarono di manifestarsi.

Quel decennio fu marcato soprattutto dal segno di Reagan e Thatcher, dalla forza rivoluzionaria della globalizzazione capitalistica, dalla deregulation, da più mercato e meno Stato. Non per niente in Italia fu aperto, nell’autunno 1980, dalla vertenza Fiat, dalla marcia dei quarantamila, dalla capitolazione delle organizzazioni sindacali.

L’individualismo, l’edonismo, la Milano da bere venivano ben interpretati dal Psi craxiano “dei meriti e dei bisogni” mentre il Pci e la Dc imboccavano la strada del loro declino dopo il naufragio del compromesso storico.

Fa bene ricordare tutto ciò poiché condivido quel che Serra e Gramellini affermano: quei valori così prepotentemente affermatisi in questi trent’anni paiono oggi logori, insufficienti a fornire risposte etiche, mentre l’insicurezza spinge a ritrovare legame sociale e condivisione e la libertà viene riscoperta nella sua dimensione collettiva.

Non mi sorprenderebbe quindi che i referendum del 12 e 13 giugno prossimi raggiungessero effettivamente il quorum. Ho abbastanza anni per ricordare la grande vittoria nel referendum sul divorzio, che segnò la sanzione di una società più evoluta. Così come nel 1981, quando attaccavo i miei primi manifesti a sostegno della difesa della legge 194 sulla interruzione di gravidanza: allora chi era per il no alla abrogazione lo sosteneva, non ricorreva ai mezzucci astensionistici.

Domenica e lunedì prossimi i cittadini sono chiamati a decidere se riaffermare o meno il valore di alcuni beni comuni, che in questi anni parevano inesorabilmente da cedere al mercato. Una produzione energetica diversa, diffusa, sostenibile disegna un altro modello di società rispetto a quello centralizzato e militarizzato proposto dalle centrali atomiche. La gestione pubblica dell’acqua rimanda ad alcuni tra gli elementi di fondo del modo in cui le comunità si organizzano, progettano e difendono il proprio futuro.

Ma anche l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge è un bene comune, essenziale per la tenuta di una società: soprattutto per questo mi pare importante il quesito sul legittimo impedimento.

Il valore politico dei referendum va infatti ben al di là del contrasto alle politiche del governo in carica o alla speranza di dare spallate alla maggioranza parlamentare: a mio parere essi valgono infatti essenzialmente per affermare un nuovo senso comune.

I sì sulle quattro schede possono aiutarci insomma a far tirare fuori la testa alla vecchia talpa che in questi trent’anni di pubblicità, spettacolo, individualismo e allentamento del legame sociale non ha smesso di scavare.