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L'Opinione - Il sottoscala di Arnaldo Sassi

Sì, sì… condanniamo i black bloc

di Arnaldo Sassi

Arnaldo Sassi

- Ma sì, prendiamo le distanze. Prendiamo le distanze dalla violenza inaudita dei black cloc, dalle auto bruciate in via Merulana, dai lanci di sampietrini e – soprattutto – da quell’orribile lancio dell’estintore da parte di Er Pelliccia, al secolo Fabrizio Filippi di Bassano Romano.

Prendiamo le distanze e condanniamo la violenza fine a se stessa, non senza gettare un’ombra di sospetto sulla contiguità tra i terroristi del ventunesimo secolo e gli indignados, che avevano immaginato – a loro dire – una manifestazione forte nei contenuti, ma pacifica nella forma.

Prendiamo le distanze da tutto ciò perché le distanze le hanno prese tutti, ma proprio tutti; e accettiamo pure che in Parlamento si discuta di leggi più aspre per tentare di arginare il fenomeno. Chi fa certe cosa merita la galera. A vita? Forse sì, perché quei gesti sono la negazione del vivere civile.

Sin qui siamo tutti d’accordo, tanto siamo nella sagra dell’ovvietà. Mi piacerebbe però che gli stessi appelli a prendere le distanze – a proposito di vivere civile – fossero lanciati anche contro un altro tipo di malcostume, che purtroppo non riguarda qualche migliaio di scemi che agiscono ai margini della società, bensì pezzi da novanta della classe dirigente.

A cominciare, per esempio, dagli onorevoli piduisti (o pitreisti, o piquattristi, fate voi); oppure dai ministri sospettati di aver avuto rapporti più o meno stretti con la mafia; oppure da tutti coloro che sono accusati di corruzione o di concussione; oppure da chi si serve della consulenza di personaggi come Valter Lavitola, assurto addirittura al ruolo di consigliere della Presidenza del Consiglio; e, dulcis in fundo, anche da chi – ricoprendo cariche pubbliche apicali nello Stato – si abbandona a uno stile di vita che ci espone al dileggio da parte di mezzo mondo, facendo identificare questa povera Italia come il Paese del bunga bunga.

Ma che vuoi. Questo avverrebbe in un Paese normale. In uno Stato dove è bene impressa la cultura del bene comune; dove tutti pagano le tasse; dove nessuno cerca scorciatoie; dove il senso civico si dimostra anche gettando i rifiuti nel cestino o nell’apposito contenitore, invece che sul ciglio della strada.

Ma noi siamo un Paese normale? Ah, saperlo. Per ora siamo il Paese che invoca pene esemplari per chi brucia i cassonetti o le automobili e nello stesso tempo invoca la prescrizione breve per corrotti e corruttori.

 

24 ottobre, 2011 - 18.56