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Legambiente - Il punto sul convegno che si è svolto alla Provincia di Roma

“Acqua pubblica, pulita e preziosa”

Depurazione ancora inefficiente, perdite di rete, arsenico nell’acqua e interventi limitati sulla qualità della risorsa. Ma anche investimenti diminuiti nel corso degli anni e la forte necessità di nuove forme pubbliche e partecipate per la gestione di una risorsa indispensabile per la vita. A cinque mesi dalla vittoria referendaria, Legambiente fa il punto sull’acqua nel convegno “Acqua pubblica, pulita, preziosa” tenutosi presso la sede della Provincia di Roma.

Ben 1.457.318 su 5.626.710 non sono depurati nel Lazio con l’85,3% di copertura del servizio di fognatura e addirittura solo il 74,1% di copertura della depurazione. Le perdite di rete sono addirittura del 62% a Latina, del 45% a Rieti, del 39% a Frosinone e dell’11% a Viterbo, mentre Roma si attesta al 27%, ma è la peggiore considerando le perdite per chilometro di rete con 68 metri cubi (fonte blue book e Mediobanca). Nell’acqua dei rubinetti di 64 comuni del Lazio (17,3%) c’è una concentrazione di arsenico da riportare nei limiti di legge entro il 2012.

Serve una nuova gestione pubblica e partecipata per l’acqua, con interventi seri e concreti a tutela di un bene sempre più scarso e prezioso per la vita – hanno affermato Cristiana Avenali, direttrice di Legambiente Lazio, e Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio -. Serve uno sforzo maggiore sulla depurazione, ma anche politiche e obblighi per l’efficienza e il risparmio idrico.

Nel rispetto dei milioni di italiani che hanno votato ai referendum – continua -, va subito recuperato un maggiore controllo pubblico delle conferenze d’ambito coinvolgendo i cittadini, ma allo stesso tempo vanno rivisitate le bollette a partire dall’abrogazione referendaria della remunerazione del capitale per i privati e pure scoraggiando chi consuma troppo.

Per togliere al mercato l’acqua – conclude -, vanno garantiti i 50 litri al giorno gratuiti per le famiglie, e si devono ripensare le società di gestione dell’acqua sul modello ad esempio dell’Abc di Napoli. Per questo chiediamo alla Regione di non andare verso una nuova legge che preveda un unico Ambito territoriale ottimale regionale, quanto piuttosto una riorganizzazione ragionata sulla base dei bacini idrografici e delle infrastrutture esistenti”.

In questi anni i cittadini hanno sperimentato la gestione privata del servizio idrico, trovandosi anche nel Lazio di fronte a consistenti aumenti delle tariffe, ai quali quasi mai è corrisposto un incremento della qualità del servizio, con piani e progetti continuamente disattesi, rimandati nel tempo.

Con un concreto rischio di uso privatistico del bene, con le captazioni delle sorgenti dell’Aniene o le folli idee di vendita di quelle del Peschiera, la carenza idrica nel frusinate e ai castelli romani, l’acqua con la sabbia ad Artena e i distacchi in diversi contesti da Civitavecchia a Latina.

Anche sul fronte dei consumi nel Lazio va piuttosto male: Roma scivola all’ultimo posto tra le città grandi in Italia, con ben 234,3 litri di acqua consumati ogni giorno da ciascun cittadino; Viterbo si piazza agli ultimi posti fra le città più piccole con 209,6 litri/giorno pro-capite, mentre va un po’ meglio a Frosinone con 173,7 litri, a Rieti con 157,8 litri e tra le medie città a Latina con 154,1 litri. A tutto ciò si aggiunge l’altra forma di privatizzazione dell’acqua, con numerose sorgenti concesse a prezzi spesso decisamente bassi a società che imbottigliano acqua: nel Lazio, sulla sulla base dei parziali dati raccolti da Legambiente e Altraeconomia, sono quasi 290 milioni i litri imbottigliati (dei quali il 25% in vetro) e quasi 360mila i metri cubi emunti.

L’acqua, minacciata su più fronti, manca anche di investimenti ad hoc, che in 15 anni di privatizzazioni sono in realtà diminuiti o sono stati rivisti al ribasso gli investimenti nel settore idrico come si evince da un’analisi dei dati riportati nei “Rapporti sullo stato dei servizi idrici del 2009 e del 2007” del CoViRi (Comitato di vigilanza sull’uso delle risorse idriche): se gli investimenti previsti, sulla base dei dati forniti dai gestori, si possono stimare in circa 2 miliardi di euro all’anno, gli investimenti in realtà realizzati, nel corso dei dieci anni fino al 2000, si fermano a 0,6 mld di euro.

“Con i referendum, gli italiani hanno lanciato un messaggio importante, vale a dire che all’acqua deve esser riservata una gestione ‘da cosa pubblica’, negli interessi della collettività e con un protagonismo dei cittadini stessi – afferma Maurizio Gubbiotti, coordinatore Segreteria nazionale di Legambiente -. Il popolo del sì ha quindi espresso a chiare lettere il suo no ad una gestione del servizio idrico che si trasformi in una proprietà del bene in questione.

Per dar seguito alle conquiste acquisite – continua – è opportuno che i comitati continuino sulla strada intrapresa, chiedendo alle istituzioni il rispetto dell’esito referendario. L’obiettivo da perseguire è una nuova gestione del ciclo integrato dell’acqua, caratterizzata dalla partecipazione della comunità, che abbia come parole d’ordine la qualità, l’uso responsabile e la giustizia sociale, in un’ottica di aiuto a chi è più povero da parte di chi, invece, ha maggiori possibilità economiche”.

Hanno partecipato al convegno, tra gli altri: Paolo Carsetti (Forum italiano movimenti per l’acqua), Gaetano Azzariti (professore di Diritto costituzionale presso l’Università “La Sapienza” di Roma), Enzo Antonacci (assessore al Bilancio Provincia di Rieti), Michele Civita (assessore all’Ambiente Provincia di Roma), Raffaele Di Stefano (garante del servizio idrico integrato Regione Lazio), Flavio Gabbarini (sindaco di Genzano di Roma), Carmine Laurenzano (segretario Codici Roma), Marco Macari (legale del Coordinamento acqua pubblica Frosinone), Alessandro Piotti (Autorità Ato2 – Responsabile segreteria tecnico-operativa).

 

8 novembre, 2011 - 19.30