Meno male che Silvio c’è
Sempre più la definizione di “egoarca” coniata da Giuseppe D’Avanzo per Silvio Berlusconi appare calzare al personaggio e alla situazione.
Le reazioni del presidente del Consiglio alla sentenza della Corte costituzionale sul lodo Alfano lasciano infatti trasparire in tutta evidenza come egli si ponga al centro della vicenda storico-politica privilegiando in maniera assoluta la relazione tra carisma mediatico e investitura popolare.
Una relazione che esclude per sua natura interferenze di altri poteri e crea un contesto nel quale populismo e demagogia non tollerano limiti.
Egli è primus super pares (N. Ghedini). D’altronde se il miglior presidente del consiglio degli ultimi 150 anni è anche il maggior perseguitato dalla magistratura di tutta la storia di tutte le epoche del mondo (S. Berlusconi dixit) la legge può anche essere uguale per tutti ma può non esserlo la sua applicazione (sempre N. Ghedini).
In questo contesto il sistema istituzionale è un semplice impaccio. La magistratura ordinaria (sia civile che penale) o costituzionale è considerata eversiva e politicizzata se emette sentenze da Lui non condivise, mentre del presidente della Repubblica non c’è neanche bisogno di parlarne: è un noto comunista eletto da una maggioranza che era tale per 26.000 voti, i quali magari erano pure frutto di brogli.
Senza ritegno parte dunque una pesante strategia di delegittimazione degli altri poteri.
La situazione di queste ultime settimane fa dire allo storico Aldo Schiavone: quel che Gramsci chiamava “il sovversivismo delle classi dirigenti” è al governo.
Una situazione nella quale mi è venuto in mente il libro scritto da un altro storico, Luciano Canfora, proprio alla vigilia della famosa “discesa in campo” del Cavaliere, e pubblicato dall’editore Sellerio nel 1993. Il libro si intitola semplicemente “Demagogia”. Vorrei citarne un brano: “Lo scenario attuale è profondamente mutato. Il mondo dominato dal mercato è approdato alla forma integrale di demagogia, quella della mercificazione.
Qui si è compiuto il grande salto dalla demagogia rozza, primitiva, demiurgicamente e arcaicamente affidata al superuomo di tipo mussoliniano formato sulle pagine di Le Bon e fiducioso nelle proprie sperimentate capacità di fascinatore di masse, alla demagogia anonima e capillare, totalizzante proprio perché anonima: la mercificazione dei valori e la penetrante imposizione di pseudo-valori di facile assunzione, simboleggiati e potenziati dai media a diffusione capillare e a basso costo (il teleschermo di Orwell rimane una grande intuizione precorritrice), nonché dalle forme spettacolari-popolari a mobilitazione deviante (universo sportivo).
Andiamo dunque verso società sempre più demagogiche anche perché è entrato da tempo in grave crisi il modello di società a base ideologica. La manipolazione involgarente delle masse è la nuova forma di discorso demagogico.
Proprio mentre sembra favorire, attraverso i media, l’alfabetizzazione di massa, esso produce (il paradosso è solo apparente) un basso e torvo livello culturale e un generale ottundimento della capacità critica (« dove tutti sanno poco e’ si sa poco » era l’allarme del Leopardi nel Dialogo di Tristano e di un amico).
Si tratta dunque di una forma di demagogia altamente perfezionata, per ora non bisognosa della coercizione violenta di tipo paleo-fascista. (Un fascismo americano sarebbe democratico, scrisse Bertolt Brecht nel suo Diario, p. 368, in singolare sintonia con Thomas Mann, discorso al «Peace Group» di Hollywood, giugno 1948). Seduce i soggetti dando loro l’illusione dell’autonomia. Ma non trascura nemmeno la latente spinta alla violenza che ogni società necessariamente accumula («quello stato di vaga ostilità atmosferica di cui l’aria è satura nell’era nostra», dice Musil,
L’uomo senza qualità [193I], I, cap. 7), la canalizza (per ora) verso l’ambito sterminato dello sportspettacolo, unica occasione di mobilitazione spontanea delle masse nel tempo nostro. La politica ‘alta’ fa mostra di ignorare tale ambito, ma è a tutti ben chiaro che esso è terreno di vera e propria manipolazione politica: sia per la sua efficacia come valvola di sfogo (deviante) dell’inquietudine sociale semiproletaria e sottoproletaria, sia in quanto strumento di conquista del consenso (clientela elettorale, uso elettorale del mondo sportivo ecc.). Esso è anche, infine, terreno di coltura del neo-razzismo e ne rappresenta l’anima militante e squadristica”.
E’ evidente che, alla luce degli ultimi 15 anni, alcuni tratti della analisi di Canfora andrebbero rivisti e aggiornati. Ma anche talune rozze insolenze di questi giorni, alcune volgarità esibite come pregi possono forse comprendersi in questa analisi.
Mi scuso per la lunghezza della citazione, ma spesso per sviluppare un ragionamento occorre usare parecchie parole e magari qualche riferimento ad illustri figure intellettuali, come nel brano che ho riportato.
Vorrei quindi concludere con un’altra citazione, ma molto più breve: E allora meno male che Silvio c’è. Viva l’Italia, viva Berlusconi! (S. Berlusconi, dichiarazioni al TG2).
Valerio De Nardo