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Il sottoscala di Sassi

Minzolini, Minzolini

<p>Arnaldo Sassi</p>

Arnaldo Sassi

Augusto Minzolini, direttore del Tg1 targato Pdl, un merito ce l’ha di sicuro: con il suo editoriale di sabato sera dell’edizione delle 20 (quella di maggior ascolto televisivo dell’ammiraglia Rai) ha avuto il coraggio di dichiararsi apertamente giornalista militante, tanto che qualcuno lo ha subito ribattezzato “Scodinzolini”.

Battute a parte, quello che è accaduto sabato pomeriggio (la manifestazione per la libertà di stampa di piazza del Popolo da una parte, i commenti del Pdl dall’altra con l’editoriale del direttore di “Rai-set” in testa) dimostrano una cosa sola: che il problema della libera informazione in Italia esiste, eccome.

Certo, non siamo al fascismo di mussoliniana memoria. Tutti, anche i bambini, si rendono conto che oggi, in un Paese occidentale, quel tipo di censura sarebbe inapplicabile. Ma forse, proprio perché si tratta di un fenomeno strisciante, è ancora più insidioso.

Partiamo allora dal concetto di servizio pubblico, spersonalizzandolo dall’attuale presidente del consiglio, nel tentativo di evitare così l’epiteto trito e ritrito di anti-berlusconismo: cosa deve fare un organo d’informazione cosiddetto?

Il trombettiere di chi sta al governo, oppure applicare un doveroso criterio di critica sui fatti e sulle circostanze, senza nasconderne alcuno?

Seconda domanda: le alte cariche di un qualsiasi stato occidentale devono rendere conto a chi li ha votati (ma anche a chi non li ha votati) dei loro comportamenti pubblici e privati, soprattutto quando questi interferiscono nella loro carica pubblica?

Terza domanda: a fronte di interrogativi che l’opinione pubblica si pone (compresa certa stampa, definita faziosa) il politico investito di un’alta carica statale ha o no il dovere di dare risposte che siano credibili ed esaurienti?

Provate a rispondere, ipotizzando che la questione non riguardi Silvio Berlusconi, ma un ipotetico capo di Stato di un Paese che non sia una “repubblica delle banane”.

Se avete ancora dei dubbi, rifatevi a quanto accaduto, recentemente o meno, in nazioni che in quanto a democrazia hanno una tradizione molto più consolidata della nostra, se non altro dal punto di vista storico.

Partendo da quanto avvenuto pochi giorni or sono in Inghilterra, dove un giornalista della Bbc (servizio pubblico inglese) ha chiesto al primo ministro Gordon Brown se facesse uso di tranquillanti; per arrivare al famoso caso Lewynski di clintoniana memoria, dove il presidente degli Stati Uniti fu messo per mesi alla gogna da tutta la stampa americana, fu costretto a chiedere scusa a tutti i cittadini per non aver detto subito la verità e rischiò addirittura l’impeachment, senza che nessuno – in America – si sia mai sognato di additare chi chiedeva che la verità venisse a galla come nemico della nazione, farabutto o altro.

Invece in Italia si definisce senza tanti complimenti ridicola una manifestazione che raccoglie un bel po’ di gente (sulla cifra dei partecipanti lasciamo perdere, tanto è il solito balletto) e che comunque un problema lo pone. Non che la ragione stia tutta da una parte e il torto dall’altra.

Quella manifestazione è indice di un malessere sul quale bisognerebbe discutere con serenità, affrontando i problemi e le contraddizioni oggettive (che ci sono, eccome se ci sono), per arrivare a una soluzione condivisa. Che riporti un minimo di equilibrio in un Paese dilaniato tra l’altro da tanti problemi più seri di quelli delle escort. Ma questo non avviene perché fa più comodo buttarla in caciara, come si dice a Roma. E di chi sono le maggiori responsabilità?

E qui spersonalizziamo ancora una volta: in uno Stato democratico è chi sta al governo che ha il dovere di ascoltare e di fare il primo passo. O no?

E’ chi sta al governo che deve essere il presidente di tutti (terminologia quanto mai abusata e totalmente ignorata da chi sale su un qualsiasi scranno) e trovare la giusta sintesi tra la propria linea politica e le osservazioni di merito che arrivano dall’apposizione. O no? E’ chi sta al governo che deve dare il buon esempio rispettando le regole e le norme, ma anche esibendo una moralità e un tenore di vita nel quale si possa rispecchiare il buon nome del Paese che rappresenta. O no?

Anche qui, provate a dare le risposte pensando all’ipotetico Stato di prima.

Senza dimenticare un fatto cui non tutta la stampa ha dato il rilievo che meritava: ovverosia la rinuncia di Gianfranco Fini al lodo Alfano in relazione a una querela contro di lui. Un atto che fa aumentare nei suoi confronti la stima di tutti, anche di quelli che – come me – non lo hanno mai votato.

Arnaldo Sassi

6 ottobre, 2009 - 12.42