Te piac’ ‘o presepe?
Babbo Natale, nella iconografia che tutti ormai conoscono, è uno dei primi simboli della globalizzazione capitalistica.
Disegnato da Haddom Sundlom per l’agenzia pubblicitaria D’Arcy, fu impiegato per reclamizzare la Coca Cola dal Natale del 1931 fino a quello del 1964.
Da allora il San Nicola della tradizione cristiana o altre figure della tradizione nord europea sono state sostituite da quest’omone rubizzo vestito di bianco e rosso (questi colori vi ricordano qualche etichetta?) divenuto in tutto il mondo simbolo dell’armonia consumistica.
A me da bambino i regali li portava la Befana, che veniva di notte, a cavallo di una scopa, aveva le scarpe rotte e rappresentava, in una vita sobria e austera, il senso del dono gioioso nel giorno in cui si ricordano gli omaggi dei magi a Gesù Bambino.
Le feste della Natività sono invece divenute un appuntamento commerciale, uno schermo di prodotto interno lordo dietro al quale nascondere l’allentarsi dei legami sociali, il dissolversi delle coesioni comunitarie che animavano la ricorrenza.
Per questo ho molto apprezzato l’apertura del Tg3 delle 19 la sera della vigilia di Natale. Prima un servizio sui precari dell’Ispra, che passano questi giorni sul tetto del loro istituto di ricerca; poi uno sui lavoratori Agile, ex Eutelia, anche loro in azienda a presidiare e a lavorare senza stipendio per non perdere le commesse; quindi uno sulla situazione di Termini Imerese, alle prese con la paventata chiusura dell’impianto della Fiat; infine un reportage su Giampilieri dopo quasi tre mesi dalla frana che ha travolto il paese.
Dopo di che il giornale diretto da Bianca Berlinguer è passato all’approvazione della riforma sanitaria di Barack Obama da parte del Senato Usa.
Devo dire che, per quel poco che mi hanno insegnato di giornalismo, queste possono considerarsi notizie. Non lo sono invece gli stanchi e rituali servizi sui cenoni della vigilia, quelli sugli “ultimi frenetici acquisti” per i regali, né gli altri che ci informano su come trascorreranno le festività i nostri amici a quattro zampe oppure le letterine, le veline o i tronisti. Tanto meno lo sono le varie marchette commerciali o i promo di altre trasmissioni televisive che affollano le sedicenti trasmissioni di informazione.
Per riprendere il titolo di un libro di Milan Kundera potremmo dire che “la vita è altrove” rispetto a quella che emerge normalmente dal tubo catodico (o plasma o lcd che sia).
A cavallo della mezzanotte la Rai trasmetteva invece “Natale in casa Cupiello”, uno dei capolavori di Edoardo De Filippo. Luca Cupiello vive nell’ingenuità dei suoi sentimenti e, mentre la famiglia è attraversata da tensioni dirompenti, proietta sul presepe il suo desiderio di bontà e di unità nella tradizione delle feste natalizie. Per questo nella commedia ritorna spesso la domanda “Te piac’ ‘o presepe?”
A chi vorrebbe farci credere di vivere in un mondo favoloso fatto di buoni sentimenti, credo sia giusto rispondere che quel presepe scintillante propagandatoci dalle televisioni non ci piace.
Per questo anche chi, come me, non è credente può dire invece che gli piace il Presepe della tradizione, quello che San Francesco volle a Greccio per rappresentare l’avvento di un nuovo Verbo nella storia. A quella parola sarebbe il caso di prestare nuovamente orecchio.
Valerio De Nardo