Scrosci di applausi per Marco Mengoni
È salito sul palco, ha dato l’anima e se n’è andato. Prendendosi gli applausi di una folla in visibilio, che alla fine è esplosa, gridando il suo nome.
Marco Mengoni riesce sempre a sorprendere. Proprio quando si pensa di aver ricevuto da lui tutte le emozioni possibili, è pronto a stupire con gli effetti speciali. È andata così anche ieri sera, alla semifinale del Festival di Sanremo, al termine della quale sono stati scelti i dieci finalisti che stasera si giocheranno il tutto per tutto sul palco dell’Ariston. Tra questi c’è anche Marco.
Una performance da brividi, la sua, esibitosi insieme al quartetto d’archi Solis String Quartet. Un’accoppiata vincente che è riuscita nell’impresa: trasformare un anonimo brano pop rock in un prodotto musicale di livello altissimo.
Mai come ieri sera “Credimi ancora” è apparsa così elegante. E, probabilmente, mai più lo sarà.
La voce di Marco si è armonizzata perfettamente ai violini del quartetto. Duttile e leggera. Ma, all’occorrenza, solida e potente. Capace di cavalcare le note più alte con naturalezza. Scivolando, semplicemente, un po’ più su di loro… “dove non si cade mai”, come canta l’artista ronciglionese nel suo singolo d’esordio. Una frase che a Marco calza a pennello. Perché la sua voce non cade. Non cede. Non si rompe. Raggiunge vette altissime e ci danza sopra. Morbida e affidabile. Poi, senza fretta, scende e ritorna sulla terra, alle note più basse, quasi con dispiacere.
Solo uno strumento accordato alla perfezione è capace di una simile magia. E Marco, ieri sera, ha usato l’unico strumento che aveva: una voce che è come un violino. Che ha creato un tutt’uno con gli archi, amplificando la melodia. Così sicura di sé che sembra limata da un’esperienza decennale. Quando, invece, conosce la musica da appena cinque anni.
Potrà anche non vincere il Festival (e, a questo punto, chi se ne frega), ma ieri sera Marco Mengoni si è fatto capire davvero. Sbattendo in faccia alla platea incantata e al grande pubblico di Rai1 il suo talento insolente da 21enne. Gridando forte che la sua carriera è una cosa seria, che non va presa sottogamba. Né sprecata dietro a testi inesistenti e canzoncine orecchiabili. Ma va coltivata con cura.
Perché lui divora il palcoscenico. Impugna il microfono come se, in tutta la vita, non avesse fatto altro. Sa esibirsi con i grandi professionisti. Sa cantare tutto, da Mia Martini a David Bowie. E i suoi pezzi, se proprio devono essere pop, li rimpasta con la voce e li trasforma in un miracolo. Proprio come ha fatto con “Dove si vola” e, ieri sera, con “Credimi ancora”. Due brutti anatroccoli diventati cigni.
I discografici sono avvertiti: Marco Mengoni rischia seriamente di arrivare all’eccellenza internazionale.