“Rapporti stretti tra Ros e Ciancimino”
“Se solo avessi avuto sentore di una trattativa di un pezzo dello Stato con un pezzo della mafia l’avrei denunciato pubblicamente”.
Lo ha detto l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli deponendo a Palermo al processo a carico del generale Mario Mori, ex vice comandate del Ros, e del colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura del boss mafioso Bernardo Provenzano.
“Avemmo la sensazione che tra i carabinieri del Ros e Vito Ciancimino ci fossero rapporti stretti” – ha detto Martelli in aula.
L’ex Guardasigilli ha raccontato in aula che, alla fine di giugno del ’92, l’allora direttore degli Affari penali del Ministero, Liliana Ferraro, gli disse che aveva incontrato il capitano Giuseppe De Donno, allora braccio destro di Mori, e che l’ufficiale le aveva riferito di avere preso contatti con il figlio di Ciancimino, Massimo, con lo scopo di incontrare il padre “per fermare le stragi”.
“Ferraro – ha aggiunto Martelli – mi raccontò di avere invitato De Donno a rivolgersi a Borsellino”. “Praticamente – ha continuato – Ferraro mi fece capire che il Ros voleva il supporto politico del ministero a questa iniziativa. Io mi adirai perché trovavo una sorta di volontà di insubordinazione della condotta dei carabinieri. Avevamo appena creato la Dia, che doveva coordinare il lavoro di tutte le forze di polizia e quindi non capivo perché il Ros agisse per conto proprio”.
Infuriato Martelli avvertì nella circostanza l’ex capo della Dia, il generale Taormina, e l’allora ministro dell’Interno. Il testimone, che ha dichiarato di non sapere se dopo l’invito della Ferraro il Ros si rivolse a Borsellino, ha raccontato di un secondo incontro tra De Donno e l’ex direttore degli affari penali.
“Nell’ottobre del 1992 – ha detto – Ferraro mi disse di avere visto de Donno e che questi le aveva chiesto di agevolare alcuni colloqui investigativi tra mafiosi detenuti e il Ross e se c’erano impedimenti a che la procura generale rilasciasse il passaporto a Vito Ciancimino”.
Anche questo secondo racconto della Ferraro fece adirare l’ex ministro che disapprovava l’indipendenza del Ros e riteneva Ciancimino “una delle menti più raffinate di Cosa nostra”. “Dare credibilità a Ciancimino per cercare di catturare latitanti – ha aggiunto – era un delirio. Per questo chiamai l’allora procuratore generale di Palermo Bruno Siclari esprimendogli la mia contrarietà alla storia del passaporto”.