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L'opinione di uno sporco comunista

Quando finì l’era dei combustibili fossili

di Valerio De Nardo
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Le cronache di questi giorni ci parlano del disastro ecologico avvenuto nel Golfo del Messico, 80 km al largo della Louisiana. Seguiamo i telegiornali, sappiamo dell’ira di Obama, dei tentativi di Bp di tappare il buco, dei consigli dei russi di bombardare con le armi atomiche, della consulenza volontaria del regista di Avatar, James Cameron, e della macchina asciugapetrolio brevettata da Kevin Kostner.

La storia, secondo le fonti ufficiali, comincia il 20 aprile 2010. La piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, del costo di 560 milioni di dollari, di proprietà svizzera (Transocean) affittata alla British Petroleum, è un impianto capace di estrarre 8000 barili di petrolio al giorno dal giacimento più profondo del pianeta, grazie ad una delle più grandi trivelle mai progettate.

Mentre questa trivella scavava un pozzo petrolifero, un’esplosione ha innescato un incendio uccidendo all’istante 11 operai. Le valvole di sicurezza sul fondale, che avrebbero dovuto attivarsi all’esplosione evitando la fuoriuscita del greggio dal giacimento, non hanno funzionato. Da allora, dopo più di due mesi, continua la fuoriuscita di una quantità stimata dai 12 ai 65 mila barili di petrolio ogni giorno.

Numerose sono le testimonianze di una scarsa sicurezza ed efficienza dell’impianto. Evidente è l’insufficienza e l’impreparazione tanto della compagnia petrolifera quanto dell’amministrazione americana nell’affrontare il problema. La questione è che ancora una volta gli apprendisti stregoni sono del tutto impreparati ad affrontare la superba potenza di Gea.

Ha ragione Mario Tozzi a porre la domanda: «Per quanto tempo ancora vogliamo sopportare l’inquinamento che l’estrazione, la raffinazione e il trasporto del greggio causa in tutto il mondo?» . Ritengo insensata l’opzione nucleare per la produzione di energia a scopi civili: antieconomica, destinata ad un breve ciclo di vita per via della scarsità di combustibili ed alle prese con un problema millenario che è costituito dallo stoccaggio e dallo smaltimento delle scorie.

Pensiamo forse che le lontane acque del golfo del Messico non riguardano le nostre vite? Ma se il battito d’ali di una farfalla in Africa può provocare una reazione agli antipodi del pianeta, possiamo onestamente pensare che le nostre automobili, gli impianti di riscaldamento i condizionatori che usiamo siano indifferenti alla sorta della terra e della nostra specie?

Forse abbiamo già imboccato la strada senza ritorno che porta alla scomparsa di questa nostra specie parassitaria e infestante, ma possiamo almeno tentare di prendere coscienza, di fare i conti con il nostro stile di vita?

Odo lamenti su questa estate strana, fredda, dopo una primavera piovosa: eppure quest’anno mi ricorda tanto le stagioni della mia infanzia, quando ancora, signora mia, c’erano quelle di mezzo.

Non penso che realisticamente si possa invocare la “decrescita”, anche se la crisi economica ha pensato da sola a realizzarla. Ma almeno uno sforzo per consumare di meno e vivere meglio, tutti, vogliamo tentare di farlo?

“Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo (Pil). Il Pil comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.

Il Pil mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.

Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi.

Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”. (Robert Kennedy, 18 marzo 1968, Kansas University).

Valerio De Nardo

29 giugno, 2010 - 12.48