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Tuscia Operafestival - Coinvolgente esibizione del maestro, ieri sera, all'Arena di Valle Faul a Viterbo

In 3500 a osannare Giovanni Allevi

di Paola Pierdomenico
<br />Giovanni Allevi

Giovanni Allevi

Arriva saltellando e allarga le mani. Come un aeroplanino vola intorno al suo piano che è in mezzo al palco. Il pubblico entusiasta lo acclama. Ieri sera erano in 3500 all’Arena di Valle Faul ad assistere al concerto di Giovanni Allevi.

Un piano e una luce. La tastiera che sembra animarsi. Riccioli spettinati si muovono al ritmo della musica e spuntano dalla tastiera. Poche parole durante l’esibizione. Giusto qualche battuta di Allevi a introdurre i brani. A parlare, però, attraverso le note, è il pianoforte.

I primi pezzi di Allevi sono i classici che hanno influenzato il maestro. Bach, Wagner e Chopin. Pezzi dedicati all’amore: sensuale e apollineo. Dopo le prime note, dal pubblico c’è chi gli grida un “bravo”. Il pianista si gira verso la voce anonima e la ringrazia, ridendo.

“E adesso c’è Allevi”. E’ così che introduce la sua esibizione, quella dei pezzi che lui stesso ha composto. Si parte con Go with the flow. E’ qui che il pubblico si scalda. Il maestro suona, totalmente piegato sul pianoforte. Conclude ogni brano alzando le braccia e l’ultimo gesto è per il suo strumento. Ogni volta lo accarezza come volesse rassicurarlo e dirgli quanto è stato bravo.

Poi tocca a Ciprea, pezzo nato dalla visione di una conchiglia su una mensola di un monolocale a New York con una ritmica gioiosa simile a una danza africana. Dopo Allevi esegue Ti scrivo, dedicata a un amico filosofo scomparso, ma che il maestro sente vicino.

Le mani passano velocemente sulla tastiera. Si incrociano. Scivolano sui tasti.

Poi introduce Monolocale 7,30 a.m. Una canzone alla quale è legato perché segna il momento della rottura del maestro con il suo passato. “A 28 anni ho lasciato tutto – dice Allevi -: casa, famiglia e lavoro per trasferirmi in un monolocale di Milano. Ho iniziato a fare il cameriere e all’inizio era dura. Pure dopo lo era”, dice dopo qualche secondo di esitazione.

Ma poi la svolta. “Un giorno un raggio di sole rosso – afferma – è entrato dalla finestra e mi ha dato tanto entusiasmo. Mi ha ricordato che ero lì a Milano per inseguire un sogno. L’entusiasmo poi se ne è andato – continua -, ma per fortuna il pezzo è rimasto”.

Allevi inizia a suonare di fronte al pubblico divertito dalle battute che il maestro fa per introdurre i brani. E lui li sente. “Ma che belli siete”, dice, rivolgendosi agli spettatori che lo seguono con coinvolgimento.

E la volta di Downtown. “Il centro della città – spiega al pubblico – è il posto in cui la gente si riversa per inseguire i sogni o risolvere i problemi di tutti i giorni. E’ proprio per il grande affetto che ho per l’umanità, che il filosofo Heidegger definisce dispersa e gettata nell’universo, che ho deciso di regalarle questa fotografia musicale.

E poi la canzone alla quale Allevi non rinuncia mai nei suoi spettacoli: Come sei veramente. Un pezzo dedicato all’amore perché, secondo Allevi, solo chi ama veramente è in grado di vedere una persona per quella che è. “C’è una grande dolcezza in questo brano – rivela – . E io ho bisogno durante il concerto di farmi trascinare dalla dolcezza di queste note per prendere la forza necessaria e affrontare i passaggi più difficili dell’esibizione”.

E’ questa la canzone che tra tutte riceve, infatti l’applauso più lungo del pubblico. Si continua sulle note della leggerezza e della delicatezza con L’orologio degli dei. “Questo brano ha un significato filosofico. Il passaggio dall’eternità all’esistenza avviene con il primo battito del cuore. Sia esso umano o animale, per me ha origini divine”. Un pezzo in cui note alte si affiancano a quelle più basse, alternando stati d’animo di inquietudine a quelli più leggeri, in un incessante martellare sui tasti.

“Avendo a che fare con la musica – dice Allevi – ho scoperto che la mia forza è la mia debolezza. Ogni volta che suono è come un ritornare in vita”. E’ così che il maestro introduce Back to life.

E, quasi alla fine una nota jazz con Jazzmatic. “Il brano non jazz per eccellenza – racconta al pubblico – perché tutto è scritto e non c’è niente di improvvisato”. Poi un tuffo nel passato, alle origini con Japan. “E’ il primo pezzo che ho composto, avevo 17 anni”.

Con questo ritmo si arriva alla fine di un’esibizione durata oltre un’ora e mezza. “Ora l’ultimo brano. Nooooo!”, commenta ironicamente Allevi suscitando le risate del pubblico.

Ma prima i ringraziamenti. Tira fuori un foglio che srotola come dovesse leggere un poema. In realtà, le sue parole sono per lo staff del Tuscia Operafestival e a chi ha collaborato alla serata. “Era solo scritto grosso”, rivela scherzosamente rimettendo via il pezzo di carta.

E naturalmente l’applauso più bello Allevi lo ha riservato al pubblico per il calore e l’affetto dimostrato durante il concerto. Parte così Piano karate “un vero e proprio combattimento tra me e il pianoforte – spiega Allevi -. E’ attraverso questa lotta che conosco i miei limiti e traggo la mia forza”.
Il brano è un vero botta e risposta tra il maestro e il suo strumento. Un dialogo fatto di note.

Poi Allevi stacca le mani dalla tastiera, ringrazia, bacia il pubblico e se ne va. Con lo stesso gesto con cui è salito sul palco, a fine serata, lo lascia, volando come una aeroplanino. Il pubblico lo richiama. Si alza un boato. Sono i piedi degli spettatori che sbattendo sul pavimento dell’Arena richiamano Allevi.

Lui rientra. Vola intorno al piano e poi commenta. “Mi è sembrato di sentir dire bis”, scherza. Allora decide di accontentare gli spettatori eseguendo Aria. Ma non è ancora il momento di andare via. C’è tempo per un ultimo pezzo. E’ Prendimi che conclude il concerto dell’arena di Valle faul e con il quale Allevi saluta il suo pubblico.

28 luglio, 2010 - 11.29