Invia questo articolo Stampa questo articolo
Condividi: Queste icone linkano i siti di social bookmarking sui quali i lettori possono condividere e trovare nuove pagine web.
  • Webnews
  • Digg
  • del.icio.us
  • Facebook
  • Google Bookmarks
  • LinkedIn
  • Live-MSN
  • MySpace
  • OKnotizie
  • Technorati
  • YahooMyWeb
  • TwitThis
L'alambicco di Antoniozzi

Berlusconi? Pessimo barzellettiere

di Alfonso Antoniozzi
</p>

Spinto dalla curiosità ammetto di aver fatto una visita al sito dell’Espresso per rendermi conto di persona dell’oggetto del contendere, ossia della famigerata barzelletta sulla Bindi raccontata fuori onda dal presidente del consiglio.

Per chi non avesse avuto voglia o tempo di controllare personalmente, la barzelletta in questione ha come protagonista un tipo cui vengono presentate una serie di signorine, e all’atto della presentazione il tipo in questione deve ripeterne il nome.

Alla presentazione di tale Orchidea, il tipo sorride e dice “Orchidea”, alla presentazione di Rosy Bindi balza all’indietro ed esclama, orripilato da tale vista, la bestemmia più simile a Orchidea che vi venga in mente.

La cosa che mi ha più disturbato durante la visione del video non è stata tanto il fatto che nella barzelletta ci fosse o meno una bestemmia (c’era), o che fosse o meno una storiella sessista e maleducata (lo era), e nemmeno se fosse o meno il caso che il premier la raccontasse (non era il caso). No.

Quello che mi ha disturbato di più, parlando da uomo di teatro, è stato l’incontenibile scoppio di risa degli astanti. Sì perché, analizzata dal punto di vista della trama e della narrazione, la barzelletta non solo era brutta, ma era pure raccontata male.

Sia detto una volta per sempre: Berlusconi non sa come si raccontano le barzellette. Non è capace di far montare la curiosità, non avvince col racconto, le premesse sono sempre o troppo vaghe o troppo brevi e comunque sempre cincischiate, si arriva al climax con fatica e quando questo arriva non è mai all’altezza delle aspettative.

Avesse raccontato la medesima barzelletta e nel medesimo modo durante una rivista di avanspettacolo dell’immediato dopoguerra si sarebbe beccato una delle celebri gattate per cui andava famoso il pubblico romano (trattasi di lancio di gatto morto all’indirizzo del comico scarso) e sarebbe stato apostrofato da un sonoro “nun ce fai ride” corredato da un altrettanto sonoro “volemo le ballerine”.

Ma i cortigiani, che, com’è noto agli appassionati d’opera, Piave definì “vil razza dannata” aggiungendo per giunta “a voi nulla per l’oro sconviene”, hanno riso di gusto, neanche avessero assistito a una performance del Bramieri dei tempi d’oro.

E invece non c’era assolutamente nulla da ridere semplicemente perché era una brutta barzelletta raccontata male. Avrebbe dovuto essere accolta con un educato sorrisino, di quelli che non deprimono il narratore ma che certo non lo incoraggiano a raccontarne di altre.

Mi è capitato di assistere a scene simili anche in teatro: ricordo anni fa un celebre quanto potente personaggio che si vanta di essere grande raccontatore di barzellette le cui performance venivano sempre accolte da squassanti risate. Anch’egli, come il premier, era un pessimo barzellettiere, ma questo particolare non sembrava turbare la corte.

Anzi, visto che il personaggio era solito raccontare più volte la stessa barzelletta durante i due mesi di lavoro, tutti ridevano come se l’avessero ascoltata per la prima volta.

Poiché il tipo in questione non era un cretino, tutt’altro, sono perfino arrivato a pensare che lo facesse apposta, quasi a voler sondare il grado di piaggeria dei sudditi.

Anche Berlusconi non è un cretino, tutt’altro (l’errore più grave commesso dall’opposizione all’apparire del fenomeno fu senza dubbio quello di considerarlo tale, il che la dice lunga su certi insopportabili snobismi di sinistra), ma nel suo caso non credo che racconti barzellette per sondare la devozione della corte. Temo, ahimè, che sia profondamente convinto di essere un eccellente barzellettiere.

Anche di Nerone, le cui performance canore venivano sempre salutate da folle plaudenti, si dice che, alla sua morte, avesse ad esclamare “quale artista muore con me”.

Disgraziatamente, i posteri non lo ricordano per le sue composizioni ma per i deliri di vanagloria e l’incendio di Roma. Se la storia dovesse mai ripetersi, teniamo per favore a mente che la colpa maggiore sarà di quei cortigiani che hanno riso invece di opporre a una brutta barzelletta raccontata male un dignitoso ed educativo silenzio.

Alfonso Antoniozzi

9 ottobre, 2010 - 17.29