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Il dibattito - Un due tre e... la sinistra non c'è più

Basta non cadere in un centro mangiatutto

di Valerio De Nardo
<p>Valerio De Nardo</p>

Valerio De Nardo

- Trovo stimolante la riflessione del professor Mattioli sulla crisi della sinistra.Sono d’accordo su alcune suggestioni, mentre sento di discuterne altre: provo a trarre allora alcuni spunti, limitandomi ad annotare alcune considerazioni,volendo in particolare guardare al futuro, al “che fare”, come avrebbe magari scritto Lenin.

In primo luogo mi viene da evidenziare come l’origine del termine “sinistra” sia strettamente connesso al parlamentarismo, stante che esso indica la collocazione di una parte degli eletti (o nominati) nelle assemblee consultive o legislative.

Non sempre però la geometria parlamentare risulta in grado di tradurre la complessità dei movimenti reali nella società.Così è stato anche per il movimento operaio, che non può essere identificato tout-court col marxismo e la sinistra, ma ancor più, ad esempio, lo è per il più giovane e ancor vivo movimento ecologista.

Sono d’accordo con il professor Mattioli quando invita a sgombrare il campo da “ismi” di sorta. Le ideologie hanno troppo spesso prodotto danni inenarrabili quando sono diventati regimi, fino ad arrivare (pochi decenni addietro) all’aberrazione di Pol Pot, che volle l’uccisione, con milioni di altre persone, di coloro con gli occhiali poiché capaci di leggere: intellettuali, inutili per realizzare l’ideale di comunismo agricolo in Cambogia. Né io né Mattioli saremmo scampati al furore dei Kmer rossi…

Ma venendo al cuore della analisi, vorrei notare l’assenza, tra gli autori citati nel pezzo del professor Mattioli, di Norberto Bobbio, che negli ultimi anni della sua vita non ha mancato di rilanciare l’impegno per realizzare condizioni di eguaglianza come significato della sinistra ancora ai tempi odierni (una spinta che già Tocqueville giudicava “irresistibile”).Lo ha fatto proprio ragionando di destra e sinistra, indagando ragioni e significati di una distinzione politica.

Gli autori riportati nel pezzo appartengono infatti ad un’area politico-culturale che ha trovato nel “blairismo” (e chiedo scusa per l’ismo) il suo punto sicuramente più avanzato di realizzazione. Se posso permettermi un giudizio al riguardo, non mi pare che il new labour sia andato molto al di là di una mitigazione degli effetti prodotti dalla rivoluzione neo liberista di Reagan e Tatcher, che segna il vero punto simbolico d’avvio della globalizzazione capitalistica per come oggi la conosciamo.

Non possiamo non vedere che mai nella storia dell’umanità come oggi il lavoro salariato ed intellettuale è stato sul pianeta tanto esteso quanto le condizioni del suo sfruttamento. Mi chiedo allora, guardando un po’ al di là dei confini italiani e dell’Unione europea: la globalizzazione ha diminuito o aumentato la domanda di uguaglianza?

Sicuramente, intanto, la storia non è finita come aveva scritto Francis Fukuyama…

E qui vengo al nocciolo della mia riflessione sulla scomparsa della sinistra, che, mi auguro, uno studioso dei fenomeni sociali troverà interessante. L’“evaporazione” della sinistra è stato un rapidissimo processo di dissoluzione di formazioni sociali nate nell’ottocento e cresciute nel secolo scorso: dalle organizzazioni politiche a quelle sindacali, fino alle forme del radicamento nel territorio e nei luoghi di elaborazione e diffusione della cultura (l’egemonia gramsciana).

Sono rimasti gli apparati, le burocrazie, mentre, come scrive giustamente Ilvo Diamanti, l’ideologia è stata sostituita dal marketing e l’organizzazione dalla comunicazione.

Da questo punto di vista la crisi della sinistra sta dentro una crisi sociale complessiva, nella quale l’individuo si ritrova libero da gabbie ideologiche, certo, ma anche più precario, più solo, più insicuro (sarebbe sin troppo semplice citare Baumann, la “società liquida”, “voglia di comunità”), capace di identità essenzialmente come consumatore (e qui ritorna “L’uomo a una dimensione” di Marcuse, roba di mezzo secolo fa).

Ieri sul palco del Lingotto per la manifestazione dei “Modem” veltroniani lo slogan era: fuori dal ‘900. Lo stesso Nichi Vendola, nella sua ricerca di una “nuova narrazione” parte dal presupposto che si debba uscire dal ‘900. Gli ammiccamenti per costruire un nuovo soggetto politico, che provi a raccogliere le forze politiche oggi disperse ed a recuperare anche una estesa area di abbandono e di sfiducia che si traduce sempre più in comportamenti astensionistici alle elezioni, sono in corso e non certo in segreto.

Secondo me in questa ricerca, in questa costruzione, che era già alla base della ispirazione dell’Ulivo prodiano, si trova un percorso possibile per declinare la storia della sinistra con le parole del XXI secolo. Serve ancora una soggettività politica in grado di costituire un riferimento per gli individui.

Chi, a sinistra, cerca di rilanciare la propria identità con falce e martello segue un percorso degno del massimo rispetto. Ma ricordo loro che già a metà degli anni ’80 la tessera della lega degli studenti della Federazione giovanile comunista italiana portava stampato al loro posto un computer.
Che fare, dunque?

Prendo sostanzialmente per buona la ricetta proposta dal professor Mattioli in conclusione del suo articolo, con una precisazione, una focalizzazione e una avvertenza.

La precisazione è che “l’ideologia malgrado tutto credo ancora che ci sia, è la passione, l’ossessione della tua diversità che al momento dove è andata non si sa”, prendendo a prestito le parole scritte nel 1994 da Giorgio Gaber. Intendo dire che l’abbandono dell’ideologia non può essere un disarmo unilaterale. Il berlusconismo, a mio parere, è proprio una ideologia, che ha invaso e conquistato molti accampamenti della Sinistra, mentre questa si illudeva di combattere Berlusconi.

La focalizzazione è sul grande patrimonio ideale e di valori contenuto nella nostra Carta costituzionale, di cui dobbiamo sicuramente riformare la seconda parte, che pure in questi anni ha molto aiutato la democrazia italiana a mantenersi entro binari accettabili e sicuri.

Ma è nella prima parte di questo fondamentale documento giuridico che a parere mio (ma non mi pare di essere tanto isolato) possiamo ritrovare una spinta etica e politica ancor oggi vigorosissima. Quel felice incontro delle culture cattoliche, socialiste, comuniste e liberali, all’indomani della guerra e della liberazione dal nazifascismo è in grado ancora dopo più di sessant’anni di sprigionare la forza necessaria a rilanciare un progetto di coesione nazionale e repubblicana, di cui oggi v’è assoluto bisogno.

L’avvertenza, infine, è che però le differenze non si annullano: le tradizioni storiche e culturali segnano ancor oggi confini precisi riguardo al lavoro, allo sviluppo economico, all’ecosfera, ai diritti civili e via discorrendo.

Insomma non vorrei si pensasse che tentando di risolvere un problema di geometria politica per individuare dove sia oggi la sinistra, si finisse per cadere in un centro mangiatutto, dove quel che cambia sono solo i ruoli di maggioranza e opposizione di un immutabile ceto politico, in uno scenario in cui “l’economia governa, i tecnici amministrano e i politici vanno in televisione”.

Valerio De Nardo


27 gennaio, 2011 - 17.22