Questo secol morto
- Mi sento un po’ come l’uomo della vignetta di Altan, seduto in poltrona che dice: «sono sgomento, turbato, confuso», con la bambina di fronte a lui, in piedi, bambola in mano, che risponde: «Incazzarsi mai, eh?»
In questi giorni bunga bunga trovo un po’ di conforto nella bibbia laica della Costituzione italiana e in chi si ostina a difenderla. E ne cerco anche in qualche classico come Leopardi, il mio preferito.
Leggo di “questo secol morto”, di “obbrobriosa etade”, “abiette genti”, “in peggio precipitano i tempi”, “nel secol tetro e in questo aer nefando” e penso: ma Giuliano Ferrara lo avrebbe tacciato di insulso moralismo?
E mentre le “magnifiche sorti e progressive” sono messe in dubbio da qualche piccolo inconveniente alle centrali nucleari giapponesi, in Italia noi (come d’abitudine) tireremo diritti: ce lo assicurano il ministro all’ambiente (sic!) e quello allo sviluppo economico (noto per avere lanciato, ben prima dei prestigiosi incarichi ministeriali, “Colpo grosso” trasmissione cult con Umberto Smaila, che molto ci racconta dei tempi odierni).
Da quasi un quarantennio siamo calati dentro la crisi dell’era dei combustibili fossili, e stiamo sbattendo qualche colpo di coda. La nostra classe dirigente è figlia di questa crisi e non riesce a uscirne, non può farlo.
Anche per questo non potremo avere nuovi Mattei, Vanoni, Saraceno, Giolitti, Ruffolo, che della stagione del boom e del petrolio erano in qualche modo interpreti ma nemmeno i Fanfani, i Moro, figurarsi gli Amendola o i Berlinguer, che questa crisi cominciarono a interpretare. Abbiamo Stefania Prestigiacomo e Paolo Romani e dobbiamo tenerceli con tutta la loro sicumera atomica.
Parlavo l’altro giorno con un paio d’amici vicino alla stazione di Porta Romana e c’era un bel venticello che veniva dal mare e valutavamo quanto poco dista Montalto di Castro in linea d’aria da Viterbo e quanto un battito d’ali a Fukushima possa causare un tornado a San Martino al Cimino.
Viviamo momenti collettivi, che i mass media amplificano, ma che si innestano sulle nostre storie individuali, sulle nostre piccole sofferenze, tra le ansie e le solitudini che ciascuno conosce in questa era di connessione globale.
Il liberale Immanuel Kant è tanto caro al pretoriano Giuliano Ferrara. Si parva licet anche a me è caro ed in particolare lo è il suo epitaffio, che è bene riscrivere ogni tanto, a costo di risultar ripetitivi: “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”, una piccola bussola, che è bene tenere e portata di mano in questa bonaccia che annuncia tempesta.
Valerio De Nardo