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L'opinione di uno sporco comunista

Se il centrodestra perde la testa

di Valerio De Nardo
<p>Valerio De Nardo</p>

Valerio De Nardo

- Di fronte all’avvitarsi della crisi politica, culturale e morale italiana, di fronte all’arroganza del potere che piega le scelte pubbliche agli interessi privati, di fronte a mezzi di comunicazione sempre più asserviti, le parole capaci di esprimere sdegno, di criticare, di opporsi parevano negli ultimi tempi venir meno. Lo sconcerto soppiantava l’indignazione e la rassegnazione si depositava sopra uno strato sempre più spesso d’abitudine.

Per questo i risultati del primo turno delle elezioni comunali milanesi hanno colto tutti di sorpresa, anche coloro che masticano da tanti anni pane e politica. Evidentemente qualcosa è successo, ma forse non ci se ne accorgeva perché il bunga bunga e le leggi ad personam non incidevano tanto sul piano mediatico quanto sul sentire profondo della società.

Il 12 febbraio centinaia di migliaia di donne e di uomini hanno manifestato nelle piazze italiane il loro sdegno in una delle più belle, intense e spontanee manifestazioni degli ultimi anni. Pochi giorni dopo Roberto Vecchioni vinceva il festival della piazza canora di Sanremo con “chiamami ancora amore”. Ma le parole della canzonetta non erano poi così scontate nelle rime con cuore e fiore: “Per il poeta che non può cantare, per l’operaio che non ha più il suo lavoro, per chi ha vent’anni e se ne sta a morire in un deserto come in un porcile e per tutti i ragazzi e le ragazze che difendono un libro, un libro vero, così belli a gridare nelle piazze perché stanno uccidendo il pensiero”.

Intanto le rivolte del mondo arabo delle ultime settimane portavano un vento impetuoso nel mediterraneo, quello di una nuova generazione che rivendica spazi, ruolo, futuro. Un vento che soffia da una parte all’altra del mare nostrum approdando proprio in questi giorni sotto le tende degli “indignados” spagnoli, dopo aver misurato nelle urne italiane il successo del movimento 5 stelle (io detesto il modo di far politica di Grillo, ma il fenomeno che rappresenta non può essere trascurato né incompreso).

Non ci eravamo accorti che fosse proprio la percezione di massa che stesse slittando, dunque. Avvertivamo le difficoltà, le solitudini e non percepivamo che l’immaginario di massa stesse spostandosi, anzi rivoltandosi.

Lo hanno detto i cittadini di Milano, con lo strumento democratico più elementare, il voto, che è divenuto la chiave per aprire molte porte. Lo hanno fatto dapprima nelle primarie, in cui hanno imposto Giuliano Pisapia come candidato sindaco: con esse la partecipazione popolare da semplice formula è divenuta pratica politica. Poi nel primo turno delle comunali, la determinazione delle elettrici e degli elettori ha silenziosamente ribaltato ogni pronostico ed ogni sondaggio, affermando il terreno di una sfida inedita e appassionante.

Per questo il centrodestra sembra aver perso la testa. Il primo segnale fu il colpo sleale della Moratti nel faccia a faccia televisivo con il suo competitore. Oggi lo sono gli attacchi furibondi, le falsità, le promesse demagogiche dettate dalla disperazione.

Milano è la città di Carlo Maria Martini e di Dionigi Tettamanzi, il cardinale che sta per lasciare la diocesi con il segno delle parole pronunciate sui rom da accogliere o sulla moschea da realizzarsi nel capoluogo lombardo affermando che ognuno ha diritto di avere un posto in cui pregare.

Per tutto questo, in definitiva, ritengo che sarebbe un errore valutare la vittoria di Pisapia come una semplice affermazione elettorale, solo come il prevalere di uno schieramento sull’altro, o come un mero mutamento dei rapporti di forza politici. C’è infatti uno spostamento di valori, si sta affermando un nuovo terreno culturale, che è ignoto, ma va compreso e percorso.

Il mio timore è che il centrosinistra non sia in grado di rivelarsi all’altezza della sfida, che riduca tutto a formule politicistiche e non comprenda il senso di una domanda forte di cambiamento, la quale traguarda la fine del ciclo politico berlusconiano, per trovare il suo orizzonte sociale e culturale nella volontà di rivendicare un altro futuro possibile. In questo senso la scadenza referendaria acquista il valore inatteso della conferma che una tale domanda di futuro si sia riappropriata della nostra società.

Valerio De Nardo

26 maggio, 2011 - 16.48