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Mafia - Palermo e l'Italia ricordano il giudice vittima della criminalità

Borsellino, 19 anni fa la strage di via D’Amelio

di Stefania Moretti

<p>Paolo Borsellino</p>

Paolo Borsellino

Cade oggi il 19esimo anniversario della strage di via D’Amelio.

Il 19 luglio 1992 il magistrato Paolo Borsellino e la sua scorta rimanevano vittime di un attentato destinato a rimanere impresso per sempre nella memoria degli italiani.

Alle 16,58, un’autobomba con un quintale di esplosivo fece saltare in aria il giudice e i cinque uomini della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Edde Cosina e Claudio Traina.

Via d’Amelio si trasformò, in breve, in un campo di battaglia. Un inferno di polvere e macerie, in cui si facevano largo, disperate, le ambulanze e le camionette dei vigili del fuoco, per cercare di salvare quelle sei vite sbriciolate in un attimo dal tritolo.

Un ultimo, crudele attentato che chiudeva la il ciclo delle stragi. Spazzando via con Borsellino ciò che restava dell’originario pool antimafia e dei suoi collaboratori. Il primo che la mafia fece saltare in aria fu Rocchi Chinnici, il 29 luglio 1983. Seguirono due stretti collaboratori del pool: il commissario Beppe Montana e il vicedirigente della squadra mobile Ninni Cassarà, uccisi con armi da fuoco nell’estate dell’85. Il primo mentre era al porto con la fidanzata. Il secondo sul vialetto di casa, tra le braccia della moglie, che gli era andata incontro, e sotto gli occhi della figlia, che vide tutto dal balcone.

Dopo di loro, Capaci e via D’Amelio. Due ferite profonde nella recente storia d’Italia, che qualcuno vorrebbe dimenticare. Basta azionare la macchina del fango contro i giudici e sovvertire ruoli e categorie. I veri eroi non sono più i magistrati uccisi dalla mafia, ma gli uomini come Vittorio Mangano, che “non cedette alle pressioni dei giudici”, come si premurò di sottolineare Silvio Berlusconi alle politiche del 2008.

Oggi, comunque, è il giorno della memoria. E il governo ci sarà. A Palermo arriveranno il presidente della Camera Gianfranco Fini e il ministro dell’Interno Roberto Maroni, che deporrà una corona di alloro presso la lapide del Reparto scorte.

Intanto, le procure di Palermo e Caltanissetta continuano a indagare sull’attentato a Borsellino. “La verità sulla strage di via d’Amelio è più vicina”, ha dichiarato il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, che lavorò con Borsellino e che oggi coordina l’inchiesta sulla sua morte.

La pista più battuta resta quella della trattativa Stato-mafia, scoperta dal giudice nel giugno del ’92 e che potrebbe essere il vero “movente” dell’attentato. Sui depistaggi, presumibilmente eseguiti da un gruppo di investigatori, indaga il figlio del giudice, Manfredi Borsellino, dirigente dell’ufficio di polizia di Cefalù. “Vorremmo capire chi e perchè ha organizzato il depistaggio – dice Borsellino -. Nella ricerca della verità è ora necessario che si vada fino in fondo, e noi saremo vigili e attenti”.

19 luglio, 2011 - 11.32