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Carceri - L'iniziativa per i detenuti islamici in vista del Ramadan

Ramadan, garantito il pasto di rottura del digiuno

<p>Il carcere di Viterbo, uno dei tanti a rischio sovraffollamento</p>

Il carcere di Mammagialla

- Garantire, durante i Ramadan, il “pasto di rottura del digiuno” e altri generi di conforto agli oltre 700 detenuti arabi e di fede musulmana reclusi nelle carceri del Lazio.

E’ quanto prevede il programma umanitario dell’associazione “Alternativa culturale dei marocchini in Italia”, che si avvale della collaborazione e del sostegno del garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni.

Il progetto riguarda le carceri di Regina Coeli, Rebibbia Nuovo Complesso, Velletri, Viterbo, Frosinone, Cassino, Rieti e il Centro di Identificazione ed Espulsione (CieI) di Ponte Galeria.

A Regina Coeli sono già stati consegnati tre colli di datteri e uno di libri sacri del Corano per la comunità araba e musulmana detenuta.

L’iniziativa era stata inaugurata, in via sperimentale, lo scorso anno a favore dei detenuti di nazionalità marocchina. Il progetto di quest’anno, esteso a tutti i reclusi arabi di fede musulmana, prevede che una delegazione dell’associazione entri in carcere per preparare il pasto della rottura del digiuno con prodotti tipici rigorosamente consentiti dal regolamento penitenziario.

Ai detenuti saranno offerti cibo, datteri, dolci tradizionali e libri. Della delegazione farà parte un Imam autorizzato dal ministero dell’Interno, che si occuperà dell’assistenza spirituale ai detenuti, della lettura e del commento dei testi sacri.

Il digiuno durante il Ramadan è uno dei cinque pilastri dell’Islam. Durante il Ramadan, infatti, i musulmani praticanti devono astenersi, dall’alba al tramonto, dal bere, mangiare e fumare.

«Quella dell’associazione Alternativa culturale dei marocchini in Italia è una iniziativa estremamente importante – ha detto il garante dei detenuti Angiolo Marroni – perché ha una grande valenza sociale: quella di non far sentire abbandonati in terra straniera i detenuti stranieri presenti nelle nostre carceri, troppo spesso abbandonati al loro destino anche dalle proprie rappresentanze diplomatiche in Italia. Il contatto, sia pure occasionale, con il mondo esterno, soprattutto in un momento di estrema difficoltà nelle carceri come quello che si sta vivendo, potrebbe essere un ulteriore stimolo ad intraprendere con convinzione la strada del recupero sociale».

22 agosto, 2011 - 18.48