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L'opinione di uno sporco comunista

Gli indignati, gli imbecilli e quelli in malafede

di Valerio De Nardo

Valerio De Nardo

- La giornata del 15 ottobre ha segnato certamente un momento di snodo importante tra ciò che l’ha preceduta, quel che vi è successo e quel che sta accadendo dopo.

Essa è stata preceduta dalla primavera araba, dalle piazze spagnole, cilene, israeliane, dalla contestazione non tanto o soltanto ai governi quanto al sistema che fa pagare la crisi ai più deboli.

Dopo che l’economia si era mangiata la politica, negli ultimi trent’anni la finanza si è mangiata l’economia e così l’equilibrio dei rapporti di forza dei poteri reali si è spostato a svantaggio delle sfere democratiche in favore di quelle speculative o, al limite, regolative della finanza.

La lettera del 5 agosto di Draghi e Trichet al governo italiano, le prescrizioni sulle misure da adottare contro la crisi del debito sovrano, ha costituito l’apice della dimostrazione spudorata, senza veli di una verità ormai palese: la democrazia è subalterna alla moneta.

Ma ciò nonostante ho trovato sincera e condivisibile la simpatia che Draghi ha tributato alla manifestazione mondiale degli indignados. D’altronde egli da governatore della Banca d’Italia ha sempre sostenuto la necessità di combattere la precarietà, di redistribuire il carico fiscale spostandolo dal lavoro e dall’impresa alla rendita finanziaria.

Non penso che si tratti di filantropia, quanto del fatto che vi sia una parte del capitalismo, in tutto il mondo, che avverte la necessità di riconquistare più equi livelli di giustizia sociale perché così si garantisce un sistema più efficiente, senza necessità di ricorrere all’apologo di Menenio Agrippa.

Ma sabato sono spuntati fuori gli imbecilli, quelli violenti, vittime della impossibilità di trovare occasioni positive di confronto con la realtà sociale, che riducono la loro espressività allo scontro tanto con le istituzioni quanto con la piazza pacifica e ironica degli indignados. Non è un caso se sui muri o sul blindato dei carabinieri dato alle fiamme sia comparsa la scritta Acab.

Per loro il poliziotto è sempre un antagonista, in piazza come allo stadio: chissà se hanno letto Pasolini.

La loro (sub)cultura è più quella della curva ultrà che una qualche ideologia politica. Per questo la violenza di piazza San Giovanni mi ricorda non tanto quella degli anni ’70 nostrani, quanto quella dello scorso agosto che ha sconvolto Londra: l’obiettivo non era “colpire al cuore lo Stato”, bensì “bruciare Roma”.

E quindi sono arrivati quelli in malafede, quelli che, asserragliati in aule parlamentari sempre più lontane dal Paese reale, dai suoi sentimenti e dai suoi bisogni, tengono in vita il governo alimentandolo e ventilandolo artificialmente a colpi di voti di fiducia.

Una classe dirigente, se così si può chiamare, cinica, bugiarda, che non esita a fare confusione per colpire i propri avversari e con essi il movimento degli indignati, che è stata la prima vittima degli imbecilli violenti. Gente che usa la propria visibilità mediatica per mistificare e strumentalizzare, per recuperare consenso mettendo paura ai cittadini che hanno visto le immagini di piazza San Giovanni. Che per questo non hanno esitato a criticare Draghi per la simpatia manifestata alle ragioni di quel movimento.

Quanto prima ci libereremo di questa politica autoreferenziale e servile verso il padrone, la cui agenda parlamentare e di governo è occupata solo dagli appuntamenti con gli interessi di un capo che è l’incarnazione stessa del conflitto di interesse, tanto prima potremo ritrovare il senso di un’altra politica, di cui si avverte con impellenza il bisogno.

Una politica in grado di rispondere al cartello di quel manifestante su cui era scritto: “nun so’ indignato, è che me rode er c.”…

Valerio De Nardo

 

20 ottobre, 2011 - 18.31